
Capodanno a Bogovadja
Ragazzi della generazione Erasmus, abituati a pensare all’Europa come a uno spazio senza frontiere, festeggeranno il nuovo anno con le famiglie di migranti che hanno seguito la rotta balcanica per finire intrappolate in Serbia, dove ormai si trovano da mesi, alcune da molto di più, nella speranza che prima o poi un varco si apra nella cortina di ferro dentro la quale si è rinserrata la Ue. Finita la festa, da domani ricominceranno a distribuire vestiti pesanti, impermeabili, calze, scarpe e kit scolastici ai bambini.
I quattro giovani volontari hanno aderito al progetto “emergenza freddo” lanciato da Caritas Ambrosiana che nel campo di transito allestito dal governo serbo, ha aperto con Caritas Italiana e Ipsia, un Social Cafè, uno spazio di socializzazione gestito dagli stessi profughi: il solo luogo dove gli ospiti possono incontrarsi e stare insieme.
«Fa molto freddo, anche oggi le temperature hanno toccato i -2 gradi. Purtroppo nessuno è attrezzato per passare un inverno rigido in alloggi così precari e soprattutto i bambini sono a rischio di ipotermia, polmonite e altre malattie respiratorie molto pericolose. Le mamme non sanno più cosa fare per difendere i loro figli dal gelo. Per questo dopo i canti e i balli e la lotteria che abbiamo organizzato per domani, ci rimetteremo subito al lavoro. Già oggi dopo la messa, abbiamo consegnato i regali ai più piccoli e i guanti che ci sono stati donati da Caritas», raccontano in una conference call improvvisata via WhatsApp.
Caritas Ambrosiana, Ipsia (ong delle Alci), Caritas Italiana e Caritas Valjevo lavorano nel centro, con uno staff di operatori locali e internazionali da ottobre 2016. Dopo gli ultimi arrivi nei mesi scorsi, ora la situazione è stazionaria: il numero di profughi ospiti al momento è di circa 200 persone . «I trafficanti di uomini li portano fino al confine serbo-ungherese, promettono un passaggio oltre frontiera e invece li derubano e maltrattano, lasciandoli senza soldi. A quel punto sono costretti a tornare indietro e arrivano qui», spiega Silvia Maraone, operatrice.
A causa del blocco imposto dai governi ungherese e croato, nel campo di transito serbo si è formata una comunità multinazionale composta da siriani, afghani e iracheni ma anche alcuni nigeriani che hanno tentato la via di terra, anziché la traversata del Mediterraneo, passando dalla Turchia. Sono in maggioranza donne e bambini che spesso hanno subito torture e violenze lungo il loro viaggio iniziato, in alcuni casi, anche due anni fa e che ora, da mesi, sono intrappolati ad un passo dal loro sogno.
Una situazione paradossale di cui è diventata un simbolo la tragica vicenda di Madina, la bambina di 6 anni, finita sotto un treno mentre cercava di attraversare il confine serbo-croato, alla fine di novembre. La piccola, secondo il racconto che la madre ha fatto all’Agence France Presse, sarebbe stata investita mentre stava facendo ritorno in Serbia con il resto della famiglia seguendo i binari della ferrovia lungo i quali proprio le guardie di frontiere croate di Tovarnik li avevano scortati.
«Il padre non si dà pace e ora, assistito da un’associazione serba e da un gruppo di avvocati croati, ha presentato un ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo a Strasburgo ed uno a Zagabria contro la polizia croata – ci aggiorna Silvia Maraone che ha conosciuto tutta la famiglia quando per qualche mese è stata ospite del campo di Bogovadja –. Noi ci auguriamo che vinca. Sarebbe importante per loro e per tutti coloro che oggi si trovano in questa situazione assurda».
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