Per la loro posizione geografica al confine con gli stati del Ruanda e dell'Uganda e per il ruolo strategico nell'accesso alle immense risorse del Paese, le province orientali della Repubblica Democratica del Congo sono oramai da anni teatro di una guerra senza soluzione di continuità.
Assopiti, ma mai spenti, i focolai di guerra nella regione del Nord Kivu si sono riaccesi con vigore lo scorso novembre 2012. Il gruppo ribelle dell'M23, forte di rivendicazioni del precedente conflitto, ha sfidato il governo congolese occupando i territori della propria roccaforte nel Nord Kivu, a Rutshuru, fino ad arrivare alle porte della città di Goma -cuore commerciale ed istituzionale della regione- e conquistarla.

Un'avanzata che ha portato con sé uno strascico di soprusi e violenze.
Gli scontri con le truppe dell'esercito regolare congolese (FARDC) hanno esteso l'area interessata dal conflitto fino a coinvolgere le province confinanti in termini di morti, saccheggi e spostamenti di massa delle popolazioni in fuga.

Nonostante le due fazioni abbiano ufficialmente intrapreso la via del dialogo, dando inizio alle negoziazioni a Kampala, in Uganda, l'assenza di un'autorità garante della sicurezza ha lasciato campo libero al perpetuarsi degli scontri e al proliferare di azioni criminali ai danni della popolazione civile.
Il 24 febbraio scorso è stato raggiunto un accordo formale tra il governo congolese e l'M23: la miccia però era stata innescata e diversi gruppi ribelli hanno approfittato del clima di forte instabilità per farsi avanti.
L’M23 da parte sua, si è diviso in due fazioni rendendo di fatto vani gli accordi raggiunti.
In questo caos istituzionale, la risposta della comunità internazionale risiede nel dispiegamento di una brigata di intervento che entro fine mese opererà nel Nord Kivu con un mandato offensivo contro i gruppi ribelli, primo tra tutti l’M23 che ha reagito minacciando violentissime ripercussioni sul territorio di Rutshuru, di cui possiede ancora il controllo.
A destare ulteriore preoccupazione è il dato ufficiale che i contingenti che andranno a formare la brigata saranno inviati da Sudafrica, Malawi e Tanzania. La decisione ha creato il panico tra i civili: il rischio sotto gli occhi di tutti è che il conflitto possa assumere connotazioni regionali. Il dispiegamento della brigata di intervento avrà, almeno nel breve termine, l’inevitabile effetto di prolungare ed estendere i combattimenti e contribuire ad un aggravamento dell’esodo di massa.
Il dubbio che permane è quanto soluzioni militari stabilite a tavolino dalla comunità internazionale possano effettivamente giovare al miglioramento delle condizioni di vita di milioni di cittadini congolesi e ad un cambiamento di rotta negli obiettivi e nei comportamenti, e della corrotta classe politica e militare nella Repubblica Democratica del Congo, e dei suoi scomodi vicini.
Da oramai un anno intere fasce di popolazione sono costrette all’esodo forzato.
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In fuga dai combattimenti e dalle rappresaglie abbandonano le loro case e terre privi di mezzi di sostentamento alla volta di campi profughi dove la promiscuità e il clima di insicurezza la fanno da padrone (numerosissime sono le violenze che si registrano all’interno dei campi).
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Caritas Ambrosiana aderisce all’appello di Caritas Italiana e lancia una raccolta fondi a favore delle famiglie sfollate dell’area colpita.
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Causale: Emergenza Kivu RD Congo
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