Il progetto
“Ripartire dalla fondamenta” presentato per la Quaresima 2024
è a buon punto: abbiamo ricevuto le prime informazioni dalle Filippine. E sono molto positive.
È un progetto di costruzione di 9 case per famiglie di indigeni fragili e poveri per ridare loro dignità.
Durante la raccolta di Quaresima 2024 della diocesi di Milano abbiamo raggiunto l’obiettivo di raccogliere 25.400 euro che sono stati spediti alla Caritas della diocesi di Kalibo nel mese di giugno.
La comunità locale degli indigeni Ati di Man-up, un villaggio della municipalità di Altavas nella provincia di Aklan (isola di Panay), nella regione centrale delle Visayas
era già pronta e non ha perso tempo. In poche settimane sono riusciti ad avviare i lavori, cercando di anticipare la stagione delle piogge (e dei tifoni), che di solito si susseguono negli ultimi mesi dell’anno. Ora
sono al 50% dei lavori per la costruzione delle case per le 9 famiglie.
“Siamo riusciti a lavorare bene insieme con tutta la comunità – spiega padre Ulysses, il direttore della Caritas di Kalibo –,
risparmiando su alcune spese e utilizzando l’esperienza del nostro staff riguardo gli acquisti e la logistica. Siamo contenti di come sta andando”.
Gli indigeni della tribù Ati di Man-up vivono in un terreno di 400 metri quadrati vicino ad un piccolo fiume, che regolarmente allaga l’area circostante nel periodo dei tifoni. Le loro case erano in pessime condizioni: il legno era ormai inservibile, i pilastri rovinati a causa del materiale scadente con cui erano stati costruiti, non ci sono bagni e non c’è alcuno spazio per cucinare.
Già a maggio la Caritas aveva cominciato a preparare il materiale utile per la costruzione della prima casa che sarebbe stata il modello per le altre 9.
“Il piano prevedeva che ci avremmo messo 20 giorni, invece, siamo andati più veloci e ci abbiamo messo 4 giorni in meno – racconta Regie, il responsabile del progetto –.
Così abbiamo cambiato alcune soluzioni tecniche, ma soprattutto ci siamo resi conto che potevamo usare meglio il terreno a disposizione, se realizzavamo case bifamiliari. Abbiamo fatto i nostri incontri e insieme abbiamo deciso di modificare il progetto: le altre 8 famiglie vivranno in questi duplex che stiamo realizzando. Il nuovo disegno permetterà di avere anche più spazio di gioco per i bambini e più distanza tra gli edifici. Ora con la stagione delle piogge abbiamo un po’ rallentato. Ma entro marzo avremo finito”.
Uno degli obiettivi di questo progetto era anche quello di
rafforzare il senso di appartenenza a questa piccola comunità di indigeni Ati che subisce continua discriminazione, anche a causa del colore della loro pelle, ed è relegata a svolgere lavori di fatica (muratori stagionali, contadini a chiamata) o a mendicare nei mercati. L’idea che costruire insieme la casa propria e dei vicini ridia dignità è importante.
“Un componente di ciascuna famiglia che riceve la casa lavora a tempo pieno e riceve anche un piccolo stipendio come incentivo – spiega Robert, il capofamiglia della prima casa costruita –.
Mentre gli altri forniscono manodopera gratuita come quota di partecipazione al progetto, trasportando il cemento, la sabbia e la ghiaia, portando i mattoni e il materiale per la costruzione. E così via fino alla fine, una casa dietro l’altra. Questo approccio assicura il coinvolgimento di tutte e 9 le famiglie e rafforza il senso di comunità, oltre a dare un supporto finanziario alle famiglie”.
Inoltre le competenze acquisite nel campo dell’edilizia durante questi mesi di partecipazione alla costruzione da parte di molti dei componenti delle famiglie potranno essere usate in futuro per avere maggiori possibilità di trovare un lavoro con maggiore professionalità.
Il legame da parte della Caritas Ambrosiana con questi amici di Kalibo, inoltre, si è rafforzato ancor di più nell’agosto scorso. Infatti
5 giovani della diocesi di Milano (Alessia, Letizia, un’altra Alessia, Alberto ed Erica)
sono stati nelle Filippine per 4 settimane per partecipare ai Cantieri della Solidarietà a Capiz, sempre sull’isola di Panay. Kalibo, dove il progetto “Ripartire dalla fondamenta” è realizzato si trovava a 2 ore di distanza. Per cui questi ragazzi ambrosiani sono riusciti a visitare il cantiere e ad incontrare la comunità degli indigeni Ati. In queste foto si vede come anche loro abbiano partecipato insieme alla comunità nella costruzione delle fondamenta della prima casa del progetto.
“Faceva caldissimo quel giorno – racconta Alberto, uno dei volontari –.
Quante risate abbiamo fatto in quella catena umana multietnica! Fino a quel momento eravamo stati a fare animazione e giocare con i bambini del villaggio. I genitori che stavano facendo i lavori di fatica ci guardavano dubbiosi. Ma poi, lavorando insieme a costruire il pavimento, le distanze si sono ridotte e siamo stati veramente bene insieme. Al termine della gettata di cemento, abbiamo chiesto di lasciare una dedica. Hanno accettato la richiesta con gioia. ‘Così ci ricorderemo sempre dell’aiuto vostro e dei vostri amici dall’Italia’, ci hanno detto. E così è stato. Non vediamo l’ora di vedere le case finite e finalmente vedere i bambini vivere in una casa con un tetto e ben protetta”.