. Si visitano le famiglie, si fa attività e terapia con i ragazzi, si mangia qualcosa e al pomeriggio si ritorna a
in Indonesia, alla casa delle suore Alma. Questo fanno
. Semplice, no?
, innanzitutto, e si porta tutto quello che serve dalle penne ai giochi, dal libretto di inglese ai semi da piantare nello zainetto. O lo si lega, con le corde, dietro, alla moto: dove puoi mettere, altrimenti, il contenitore dell’acqua che la settimana prima si era rotto? D’altra parte la macchina è a disposizione solamente qualche volta.
E comunque
nei villaggi la strada si trasforma in una mulattiera e poi in un sentiero per cui bisogna, comunque, andare a piedi. Quando piove? Beh, c’è la mantella, ma il fango rende tutto scivoloso, per cui l’attenzione è d’obbligo: il dietro della moto scappa via e si cade facilmente. Poi si parcheggia e c’è da
attraversare il campo di riso o di peperoncino o di melanzane prima di scorgere in lontananza la casetta da visitare.
Un po’ d’acqua da bere c’è sempre, spesso non di più: anche preparare un caffè per alcune famiglie senza entrate stabili è dispendioso.
Si fa la terapia per chi ha problemi fisici o si sta con i ragazzi per fare qualche gioco, si scrive qualche parola, si impara un po’ di inglese, si ripassa un po’ di matematica, si racconta una storia, si controlla che l’orto di cui ci si sta prendendo cura vada avanti bene. Prima di salutare si chiede se tutto va bene e
si raccolgono le richieste per la settimana successiva o quella dopo ancora. Poi si risale in moto, si percorrono ancora molti chilometri per andare da un altro ragazzo.
E così via. Ogni giorno della settimana.
Gli operatori e le suore conoscono bene tutte le famiglie. Quelle coinvolte nel progetto sono di donne vedove o senza il marito, di anziani che curano i nipoti disabili, di genitori con disagio psichico o senza lavoro. Le hanno spesso
scovate nel mezzo della foresta, piene di vergogna nell’avere un figlio o un familiare “diverso”, che non sapevano dove e come tenere. «Lo racconto sempre – dice sister Shinta, la superiora della comunità delle suore Alma che insieme alla
Caritas della diocesi di Sibolga porta avanti da più di 10 anni questo progetto difficile e pioneristico in questa parte di mondo –, ma non mi stanco di ricordarlo: anni fa abbiamo trovato un ragazzo con disabilità fisica e psichica che era tenuto, dietro, nel recinto, con i maiali. E allora abbiamo dovuto iniziare questo lavoro».
Come cercare di coinvolgere la comunità nel prendersi cura e nell’inclusione dei più fragili
L’aiuto che viene dal progetto “
Indonesia: futuro a domicilio”, voluto e finanziato dalla diocesi di Milano con la
raccolta di Quaresima e d’Avvento del 2020, cerca di fornire
aiuto diretto a queste famiglie fragili e povere,
fornendo ciò che serve: la terapia riabilitativa a domicilio per i disabili fisici; un
aiuto economico in termini di cibo per chi non ne ha; la
sistemazione della casa, se entra l’acqua dal tetto;
un po’ di cemento per permettere ai ragazzi con difficoltà motorie di non doversi rotolare nel fango per raggiungere il bagno, situato fuori dalla casa;
vestiti e scarpe per chi è senza risorse. Ma
si porta anche vicinanza e amicizia grazie alle visite periodiche alle famiglie. Per i disabili che non frequentano la scuola è importante anche iniziare l’alfabetizzazione, contare in indonesiano e inglese o semplicemente fare dei piccoli laboratori occupazionali: costruire un portamatite o porta fazzoletti con materiali di recupero, disegnare insieme regalando i pennarelli, ricamare un fazzoletto per una ricorrenza.
Sono tutte cose normali che rendono la vita più leggera e più luminosa per molti.
Fornire semi locali di peperoncino o spinaci d’acqua da piantare e lasciarli coltivare alle famiglie, in modo che possano, oltre che mangiare cibi sani e nutrienti, vendere i prodotti al mercato locale, è un’attività aggiuntiva che ha l’obiettivo di
mostrare come sia possibile, anche per un diversamente abile, essere d’aiuto alla famiglia. Così come imparare a fare i dolci per venderli. «Ma la parte più difficile del lavoro – racconta
pastor Michael To, direttore della Caritas di Sibolga – è quella del
coinvolgimento della comunità:
vogliamo che chi vive intorno alle famiglie di disabili non sia impaurito, ma comprenda che è importante prendersi cura anche di questo tipo di povertà. Per questo spesso le
visite coinvolgono i vicini per cucinare ortaggi e verdure coltivate negli orti dietro casa e per momenti di condivisione, che si chiudono con buonissime “pisang goreng” (banane fritte) mangiate insieme». Sono tutti
piccoli segni e piccole azioni quotidiane che forse sono una goccia nel mare, ma che si compongono, alla fine, in un progetto di lungo periodo per
l’inclusione dei più poveri e fragili.
Quella moto che parte ogni mattina dalla casa delle
suore Alma permette anche questo.
Matteo Amigoni
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Causale: Indonesia - futuro a domicilio
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