E' il tappeto elastico che fa la differenza!


Testimonianza di Marta, operatrice di Caritas Ambrosiana a Port au Prince. Continua la collaborazione con le Piccole Sorelle del Vangelo di Charles de Foucauld a “Kay Chal”, un centro di aggregazione giovanile con annesso scuola per bambini schiavo, situato all’interno di Cité Okay, una delle più grandi baraccopoli della capitale haitiana.
 
Se nel 2015 ci sono delle famiglie di 5 persone che vivono in una tenda di 4 mq, se un ragazzo di 15 anni mangia un giorno sì e due no, se un animatore di Kay Chal è testimone che suo fratello si è trasformato per sei mesi in una mucca... il salto che fai nell’altro mondo… non ti fa atterrare in piedi. E il salto, d’altra parte, non può essere evitato.
Haiti è grossa come la Lombardia e raggiunge più o meno la stessa popolazione, Port au Prince è tra le prime capitali al mondo per numero di espatriati.
Si parla sempre dell’80% della popolazione che vive sotto la soglia della povertà, ma la piccolissima percentuale che vive in condizioni di extra lusso non è invisibile.
Poi ovviamente c’è internet, accessibile dai più assurdi cyber café delle baraccopoli.
 
Insomma, è un vero tappeto elastico. Due mondi che vanno avanti insieme e si conoscono a vicenda, ma che non si incontrano, con un contrasto tanto marcato quanto parallelo.
La povertà allora non è tanto il bambino che muore di fame, ma è quel salto, quella differenza tra il lusso e la miseria. Troppo sfacciata ad Haiti.
 
L’acqua cristallina caraibica dove nuoti come in una piscina naturale e la ravina, un canale scavato dalla spazzatura e dalle acque nere che sfocia diretto nell’oceano.

Gli ettari di terreno disboscati e desolati nei quali non si trova anima viva e i corridoi di ampiezza variabile tra i 50 cm e il metro, che distanziano le abitazioni della congestionata Cité Okay.

Le ville con piscina sul versante collinare di Port au Prince e le tende contese e ammassate verso il mare.

Le piccole piantagioni ordinate di broccoli belli verdi e i sacchi di carbone ai lati di ceppi di alberi di ex foreste.

Gli anni di lotta che hanno portato Haiti ad essere il primo Paese al mondo, dopo gli Stati Uniti, ad aver dichiarato l’Indipendenza nel 1804 e le 3 ore di permesso concesse ai bambini schiavo, per venire ad imparare a leggere e a scrivere nel centro gestito dalle Piccole Sorelle, nel 2015.

I 40 dollari spesi per un piatto di ravioli senza sugo e il dono di un bicchiere d’acqua che riempie la pancia.

L’appuntamento dal dentista di Miami e la rassegnazione alla morte di fronte ad una dissenteria.

50 secondi di terremoto, 220 000 morti.
 
Tra tante differenze così evidenti, ce n’è una a cui sono abituata in Italia e che invece qui mi è difficile vedere nitidamente.
La differenza tra la vita e la morte.
“Nessuno muore di morte naturale qui”. È la risposta che mi viene data ogni giorno, quando durante il bollettino dei morti quotidiani, ostino a chiedere “di cosa è morto?”
“M. è passato alle 3 del pomeriggio di fianco ad un sacchetto con un gallo dissanguato ed una pietra”, “mia sorella si è gonfiata tanto che nella sua bocca poteva entrarvi un’anfora di acqua”, “lo zio di W. era uno zombie”.
La cultura voodoo crede nella magia compiuta  dagli stregoni, non nell’avvelenamento messo in atto dalla malvagità umana.
 
E poi ci sono le armi. Le classifiche mondiali mettono il Paese tra i primi al mondo per trasporto d’armi, gli studenti della scuola elementare di Cité Okay confermano.
Per un bambino che si addormenta di notte contando gli spari, è spontaneo giocare alla “sparatoria” o accettare di portare una pistola da uno zio ad un amico. E se succede qualche problema, i conti si regolano in fretta e la “giustizia” viene fatta senza aspettare la polizia, che in ogni caso la farebbe nello stesso modo.

Le carceri? Sono piene di prigionieri in attesa di giudizio e occasionalmente evade un numero più o meno elevato di detenuti, che generalmente scelgono di rifugiarsi tra i corridoi della Cité.
 
Se non è così scontato che Dio dà la vita e Dio la toglie (anche un gallo sembra avere potere), è invece ovvio che Dio esiste. Una spiritualità forte e naturale, un credere senza esitazioni nell’ Entità Superiore all’uomo.
La preghiera è semplicemente presente. Nel quotidiano di una famiglia, prima dell’inizio di ogni riunione, a scuola o in strada, di giorno o di notte (nella chiesa di fianco al centro, di solito almeno fino alle 3:40 della mattina).
Non c’entra la religione, si prega Dio.
E si prega tanto. 
Tutto è fatto secondo la volontà di Dio, con i pro e i contro che ne derivano.
Se J. picchia a sangue un suo compagno a scuola, la spiegazione è “Dio ha voluto che la rabbia agisse in me”. Ma è anche vero che T. dice “Posso non riuscire a trovare da mangiare anche per due giorni di fila, ma nessuno mi toglie la possibilità di parlare con Dio ogni volta che mi va”.
Quando il tuo obiettivo della giornata è trovare qualcosa da mangiare, la risposta alla mancanza di bisogni primari, il cibo, viene cercata negli stessi bisogni primari dell’uomo, Dio.
Quando sei indeciso sul tuo obiettivo nella vita perché ne hai tanti a disposizione, la necessità dei bisogni secondari si traduce nella ricerca di bisogni secondari,  stuzzichini materiali o piacevoli dipendenze.
 
Un salto in comune con noi del mondo con la passione per i piaceri secondari e non con l’ossessione per i bisogni primari?
La depressione. La malattia più umana che c’è e anche quella più avvezza alle debolezze occidentali. Stessi motivi. Depressione per la mancanza di lavoro, di futuro. Depressione come malattia in cui affondi (ma gli Haitiani sono forti e non affondano) oppure crisi dalla quale ti alzi più forte di prima. E la resistenza con la sopportazione del dolore definisce il carattere e la natura di questo popolo.

Poi c’è il balzo nel fashion style.
Un tacco 15, la pochette in vernice rossa o l’abito da sera (tutto 100% usato USA) che riveste un corpo anonimo, fa di una donna una signora. E di una bambina delle baracche, una bimba delle baracche fiera del suo cerchietto fucsia.
Bisogna ammetterlo: gli Haitiani sono eleganti. Forse qualcuno potrebbe scambiarla per mera apparenza. Ma quella ricerca dei giusti abbinamenti di colore, quei completi stirati con ferro a carbone, le parrucche di treccine finissime o a caschetto, modello Carrà, regalano davvero dignità ad un corpo calloso e ad un viso stanco. E loro sono poveri, mica scemi.
Dei vestiti per un po’ di dignità umana…ottimo baratto.
E io forse voglio dimenticare lo stato di sottomissione culturale e quindi l’ignoranza, che fa sì che un bambino che ha solo dei sandali, ma non una scarpa chiusa, non possa frequentare né la scuola, né la chiesa.
 
Ma può venire quando vuole a Kay Chal (dove qualcuno entra anche in mutande per approfittare dell’ acqua del canale di scolo).
Il centro delle Piccole Sorelle è aperto a tutti. Niente divisa e nessuna etichetta.
Voodooisti, Evangelici, Protestanti, Ortodossi, Cattolici, Buddisti si incontrano a Kay Chal all’interno di una volontà e libertà non scontate e di un ecumenismo caratteristico delle fraternità di Charles de Foucauld. All’interno del centro si respira il desiderio di dialogo nella e per la diversità.
Ho spesso sentito dire “Kay Chal è casa mia, qui mi sento libero e nessuno mi giudica”. In una cultura voodoo radicata nella quotidianità, in cui si prega per augurare il male dell’altro, dove la vendetta e l’invidia sono professate nei riti tradizionali e finte religioni si inventano i più vari stratagemmi di “acquisto fedeli”… dichiarazioni di questo tipo suonano come rivoluzioni.
 
E sul tappeto elastico come saltano queste Piccole Sorelle?
Tutto il tempo è dedicato all’attenzione all’altro, alla preghiera e all’adorazione.
Il campanello suona di continuo, per mille motivi: dalle richieste di medicine o di un sostegno per una visita medica a un aiuto per le spese scolastiche dei figli o per un piatto di riso, dall’ascolto di un giovane in cerca di lavoro al supporto psicologico ad un papà di 3 bambini a cui è appena morta la moglie.
Poi ci sono le visite alle famiglie e ai “proprietari” dei bambini schiavo e il sostegno alla Parrocchia.
Di certo non si fanno mantenere e poi condividono tutto ciò che hanno.
Una docente universitaria di filosofia, la direttrice della scuola elementare del quartiere, una sarta di alta e bassa moda e la coordinatrice di un centro giovanile. Attenzione, almeno loro non praticano la magia: hanno le stesse 24 ore a disposizione nell’arco di una giornata, semplicemente dormono molto poco e hanno una folle passione per la vita.
Una comunità che è un vero punto di riferimento per tutto il quartiere e che Caritas Ambrosiana ha deciso di sostenere nelle sue attività socio-educative, così come nella scelta dello stile di accompagnamento e di prossimità agli “ultimi”.
 
È così che si continua a saltare, con la voglia di conoscere questa cultura così autentica, rispettandone l’identità senza dimenticare lo sviluppo umano, la promozione per i diritti e per la dignità di tutti, la bellezza della vita.
È un equilibrio strano… e per raggiungere l’armonia, ammettendo che il salto rappresenti la povertà, è quell’unico tappeto elastico che fa la differenza.
E allora, senza per forza credere che il piccolo balzo di una cavalletta sia in grado di provocare un terremoto dall'altra parte del mondo, ma più che altro accettando che il mondo sia solo uno, e non due, riconoscere questo salto, cosa ci cambia?
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