I fenomeni naturali testimoniano la vita del nostro pianeta e costituiscono la parte più manifesta degli eventi che ne scandiscono l’evoluzione. La loro intensità si pone su una scala molto variabile e, in talune circostanze, sono fonte di gravi pericoli per l’uomo e per i suoi interessi ed attività.
Tra gli eventi naturali che possono generare situazioni di rischio si possono principalmente annoverare le alluvioni, le trombe d’aria, le valanghe e le frane, i terremoti e le eruzioni vulcaniche; anche gli incendi possono essere considerati eventi naturali, benché il loro innesco sia spesso legato all’intervento
umano accidentale o doloso.
In Lombardia sono le frane e le alluvioni i fenomeni più frequenti e conseguono principalmente ad eventi pluviometrici intensi o prolungati. Essi si presentano, peraltro, in tutto il territorio italiano con una frequenza sempre maggiore: secondo il Dipartimento di Protezione Civile i fenomeni naturali violenti si succedono mediamente ogni 18 mesi, anche se, in alcuni casi, con tempi di ritorno stimati superiori a qualche secolo. Per tempo di ritorno si intende la probabilità che un evento naturale di una
data intensità si ripeta in maniera simile entro un determinato periodo di tempo.
Questa tendenza è legata sia a variazioni climatiche (che sicuramente incidono sull’intensità e la frequenza dei fenomeni) sia ai mutati modelli di antropizzazione che hanno privilegiato, dal dopoguerra ad oggi, l’occupazione e lo sfruttamento del territorio senza considerare opportunamente i fattori di rischio. Tale considerazione trova particolare esempio nelle aree “perifluviali” dove gli interventi dell’uomo, oltre a determinare spesso una sensibile diminuzione delle sezioni di flusso (come nel caso di ponti o tombinature), hanno permesso l’insediamento di strutture residenziali e produttive in aree golenali, che costituiscono gli ambiti naturali di smaltimento delle piene. Valutazioni simili possono essere espresse anche per le zone potenzialmente interessate da eventi franosi: in talune aree montane, ad esempio, lo sviluppo urbanistico non ha tenuto sufficientemente in considerazione tali fonti di pericolo.Negli ultimi venti anni in Lombardia si sono registrate numerose calamità che hanno determinato danni ingenti e perdite di vite umane. Basti ricordare gli eventi del 1983 a Tresenda (SO), l’alluvione della Valtellina e la frana della Val Pola (1987), l’alluvione del 1993 e del 1994, le frane e i sovralluvionamenti del 1996 e del 1997 nelle zone circostanti il Lario e, più recentemente, le alluvioni dell’autunno
2000 e del maggio e novembre del 2002. Stime attendibili quantificano il danno economico in 330 milioni di euro per l’alluvione 2000 e in 650 milioni per quella del 2002. Allo scopo di analizzare in maniera sistematica il rischio presente in Lombardia nell’ultimo decennio si sono sviluppate nuove metodologie volte a definire la pericolosità dei fenomeni naturali e la vulnerabilità del territorio: il primo risultato in termini di conoscenza è stata la realizzazione di Carte di rischio in una determinata area per un dato tempo di ritorno. È così possibile attuare programmi di prevenzione e di mitigazione del rischio attraverso interventi strutturali o non strutturali. Mentre i primi prevedono la realizzazione di opere in grado di contenere l’evento dannoso, i secondi mirano a ridurre la presenza umana nel momento in cui i fenomeni si manifestano: un argine a difesa di un abitato da rischio alluvionale è un’opera strutturale, mentre il preannuncio di piena - perseguibile tramite un
sistema di monitoraggio ed allertamento con la conseguente evacuazione dell’area alluvionabile - è un intervento non strutturale.