Anche gli zingari vanno in paradiso
Lo scorso 31 agosto abbiamo celebrato i 60 anni di messa di un sacerdote milanese, don Mario Riboldi, da 50 anni dedicato alla cura spirituale dei rom di religione cattolica. È stata un’occasione preziosa per fare il punto a proposito dell’animazione pastorale a favore delle popolazioni rom e sinti presenti sul territorio della Diocesi, di cui spesso ignoriamo sia la nazionalità italiana, sia la fede cristiana, ortodossa e cattolica. Basti pensare che su 7 campi autorizzati nel Comune di Milano, 6 sono abitati da rom cattolici. Per loro quale cura spirituale, quale preparazione catechistica per i loro bambini, quale consapevolezza che - nonostante la loro diversità - vanno considerati membri delle comunità cristiane nel cui territorio si trovano ad abitare? Da anni un gruppo di sacerdoti, religiose, religiosi e laici affiancano don Mario e padre Luigi Peraboni barnabita e suo braccio destro in un ministero tanto marginale quanto nascosto di cui questo editoriale vuole in qualche modo rendere conto. Un ministero fatto di un accompagnamento individualissimo che non risponde alle esigenze della pastorale dei grandi numeri, ma che in compenso sa stare su quelle periferie esistenziali cui papa Francesco sta richiamando la Chiesa tutta.
Nessuno ignora la fatica e il reciproco sospetto che avvelena i rapporti tra popolazioni rom e cittadinanza, favorito da comportamenti talvolta da stigmatizzare. Ma tutto questo non può esimerci – come comunità cristiane – dal sentire una responsabilità educativa, accanto a quella assistenziale, un dovere di evangelizzazione, e non solo di sostegno economico.
C’è anzitutto un problema di conoscenza, partendo dai rom italiani, cattolici ormai da secoli. C’è un problema di rappresentazione della loro identità cristiana che vede sorgere anche tra i rom vocazioni di speciale consacrazione ad oggi stimate in 168 distribuite su 16 nazioni europee.
Un’identità cristiana che è gemmata in una beatificazione proclamata il 4 maggio 1997 da Papa Giovanni Paolo II quando ha elevato agli altari Ceferino Gimenez Malla, martire della guerra civile spagnola a motivo della sua fede. Aveva difeso un sacerdote che stava per essere arrestato dalle milizie comuniste e così fu a sua volta condotto in prigione dove non abbandonò mai la preghiera e quando fu fucilato stringeva tra le sue mani il rosario. Ma viene ricordato anche per la sua opera di mediazione dei conflitti che spesso nascevano tra zingari e popolazione stanziale, dimostrando che la carità di Cristo non conosce limiti di razza e cultura.
Di Ceferino è stato portato avanti un processo di beatificazione, ma non possiamo dimenticare quanti persero la vita a motivo della loro diversità nei campi di sterminio nazisti durante la seconda guerra mondiale e che possiamo considerare “martiri”.
Tutto questo per dire che se la questione della presenza dei rom nel territorio della nostra Diocesi – e in particolare del Comune di Milano – si pone spesso come un nervo scoperto, motivo di tensioni e incomprensioni, è necessario che dalle nostre parrocchie sorgano figure di mediazione, uomini e donne di buona volontà disposti a stare sul difficile terreno di quella “intercessione” che il Card. Martini definiva come un “camminare insieme”, meglio un “camminare in mezzo” tra portatori di sensibilità ed interessi diversi. Senza ingenuità, senza facili irenismi, ma anche liberi da isterie tipiche di chi a fronte di un problema sa solo immaginare una soluzione che passa dalla rimozione fisica del problema stesso. In tutto questo i cristiani sanno di dover giocare un ruolo rafforzato da una fede che impone loro uno sguardo diverso con cui guardare ogni uomo e ogni donna, da riconoscere obbligatoriamente come fratello e sorella, se solo ci sta a cuore di poter recitare con verità quella preghiera che ci fa chiamare Dio con il nome di “Padre nostro”. Se solo vogliamo rifuggire l’ipocrisia di chi sa solo riempirsi la bocca del nome di Dio.
Quando la Chiesa dichiara una persona “beata” o la canonizza definendola “santa” non vuole solo dire che quella persona la possiamo pensare nella Patria verso cui tutti siamo incamminati. Vuole anche incoraggiare i cristiani a prenderla come esempio, ad imitarne le virtù. Ebbene, da quando Ceferino Gimenez Malla, detto “El pelè”, è stato beatificato, vuol dire che persino uno zingaro può insegnarci come vivere da cristiani! Non perdiamo questa occasione.
don Roberto Davanzo
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