Negli ultimi 20 anni due eventi traumatici hanno lasciato profonde ferite nel corpo sociale di Milano e della sua vasta area metropolitana che con le province di Varese, Lecco e Monza Brianza corrisponde al territorio della Diocesi ambrosiana. Il primo evento è stata la grande crisi del 2008, generata dall’esplosione della bolla finanziaria. Il secondo, ancora in corso, è la crisi sociale prodotta dalle limitazioni introdotte dal governo per contrastare la pandemia di Coronavirus.
In seguito alla grande crisi, migliaia di persone hanno perso il lavoro e una parte, quella più debole e meno attrezzata, non lo ha più davvero ritrovato. In questi anni costoro erano riusciti a ritrovare un equilibrio approfittando delle opportunità dell’economia informale. Parcheggiatore abusivo, idraulico, imbianchino e all’occorrenza elettricista, colf e badante in nero. Scomparsi dai radar delle statistiche ufficiali, sono ritornati visibili proprio con lo sprigionarsi degli effetti collaterali del primo lockdown. Nella scorsa primavera, solo un paio di settimane dalla chiusura, sono stati loro i primi a bussare alle porte della Caritas per chiedere aiuto, mostrando plasticamente quanto numerose erano le macerie che il terremoto sociale del decennio precedente ci aveva lasciato in eredità.
Rispetto alla crisi precedente, da cui non siamo mai del tutto usciti, quest’ultima in particolar modo si accanisce sui più deboli e colpisce in maniera più selettiva alcune categorie di lavoratori. Subito dopo gli occupati nel mondo dei lavoretti, sono venuti a chiedere aiuto coloro che un lavoro vero e proprio ce lo avevano ma purtroppo nel settore sbagliato. Abbiamo visto camerieri, cuochi, lavapiatti, custodi di albergo. Cittadini italiani e molti di origine straniera che avevano approfittato negli ultimi cinque anni dell’onda lunga dell’Expo che ha fatto crescere sotto la Madonnina il settore turistico che è stato però anche il più penalizzato dalla pandemia. Assunti con contratti precari, non sono stati riconfermati e hanno perso il posto. Oppure quando lo hanno mantenuto hanno visto precipitare il loro reddito sotto il limite della sussistenza perché la cassa integrazione cui avevano diritto quando con estremo ritardo è arrivata, si è rivelata insufficiente per sostenere i costi della vita metropolitana.
Infine si sono presentati i lavoratori nei settori delle fiere, dello spettacolo, del fitness e della cura della persona. Social media manager, organizzatori di eventi, fisioterapisti, truccatori. Un mondo fatto di tante partite Iva, spesso declinato al femminile. Famiglie e single (anche di ritorno) appartenenti al ceto medio. Privi di adeguati sostegni pubblici avevano nei primi mesi retto attingendo ai risparmi ed infine, esauriti quelli, si erano ricordati del prete che avevano conosciuto in parrocchia.
Facendo pagare il prezzo più alto ai più deboli, il Covid sta facendo crescere le disuguaglianze, un processo iniziato tra la fine degli anni ‘90 e i primi del 2000 e che era già apparso in maniera evidente nel decennio scorso dopo il fallimento delle grandi banche di affari americane che avevano drogato il mercato con i mutui subprime. Da allora la forbice tra chi ha molto e chi non ha nulla si è allarga sempre di più, come emerge anche dal territorio sul quale operiamo come organismo della Chiesa ambrosiana.
Su questo grande tema, i Vescovi milanesi che si sono avvicendati in questo periodo, Tettamanzi, Scola e Delpini, hanno voluto dare il proprio contributo, coniugando pensiero e azione come nella migliore tradizione ambrosiana. I fondi che hanno creato per aiutare le famiglie che si impoverivano a causa della perdita del lavoro, hanno trasferito ricchezza da chi non è stato toccato dalle crisi di questi anni a chi ne è rimasto schiacciato e hanno promosso percorsi di emancipazione sociale. Nei momenti di maggiore necessità le risorse raccolte sono state ridistribuite a chi ne aveva bisogno sotto forma di contributi a fondo perduto. Appena è stato possibile, quelle stesse offerte sono servite a finanziare borse lavoro e tirocini che hanno in molti casi ricollocato nel mondo del lavoro chi ne era stato espulso.
È dentro questa cornice che si colloca anche Scarp de’ tenis, giunto al 250º numero. Il giornale ha attraversato questi anni difficili trasformando i senza tetto da questuanti a venditori sempre più orgogliosi, grazie ai continui miglioramenti e all’apprezzamento crescente dei lettori per il prodotto che proponevano.
Un filo rosso congiunge tutte queste diverse esperienze nate in diocesi in questo burrascoso passaggio di secolo. Il compito per i prossimi anni sarà farlo emergere con maggiore evidenza affinché diventi anche un modello per scelte collettive.
Luciano Gualzetti
Leggi tutto l'inserto di Farsi Prossimo sul Segno di maggio 2021