Il 30 giugno scade la moratoria sulle esecuzioni immobiliari per la prima casa. Circa 120 mila famiglie vivranno un momento tragico: alla fine del mese rischieranno di essere sfrattate e di vedere le proprie abitazioni vendute all’asta. Di fronte a questo scenario che sarebbe catastrofico, occorre intervenire in fretta e con lungimiranza.
Recentemente la politica ha battuto un colpo. Ma è ancora troppo poco. Nell’ultimo Decreto Sostegni approvato al Senato a metà maggio e inviato alla Camera, è stata prevista la possibilità per il debitore che ha l’immobile in cui vive sottoposto ad esecuzione, di rinegoziare il mutuo entro certi limiti, chiedendo un nuovo finanziamento garantito, per la metà del suo valore, dal Fondo per la prima casa. La norma offrirebbe un salvagente a tutti coloro che pur con i conti in rosso hanno ancora un reddito disponibile.
Tuttavia il condizionale è necessario perché non è detto affatto che, nella realtà, si imboccherà questa strada. Poiché infatti non è stato previsto alcun tipo di obbligo per il creditore, questi potrà sempre rifiutare la richiesta avanzata da chi ha contratto il debito e lo vorrebbe rinegoziare. Un’eventualità che secondo gli esperti non sarà affatto rara perché in buona parte delle esecuzioni immobiliari la banca che ha originariamente concesso il mutuo lo ha ceduto a società controllate da fondi esteri di natura speculativa che investono in crediti deteriorati (i famosi Npl, not performing loans) non per ottenere il pagamento da parte del debitore bensì proprio per attivare procedure esecutive come la vendita all’asta degli immobili a garanzia.
Per evitare che migliaia di famiglie fra qualche settimana perdano la casa, si dovrebbe innanzitutto estendere a dopo l’estate il blocco degli sfratti. Una data potrebbe essere il 15 settembre, quella indicata dal commissario Figliuolo come termine dell’emergenza sanitaria.
Più in generale, però, la questione delle aste giudiziarie sulla casa non si risolverà davvero se non si darà una seconda possibilità ai sovra-indebitati che sono oggi in Italia quasi 2 milioni di famiglie.
Proprio per rimettere in equilibrio il rapporto tra debitori e creditori, organizzazioni della società civile e studiosi della materia hanno promosso diverse iniziative. Grazie a questa mobilitazione si è riusciti ad anticipare alcune delle innovative soluzioni contenute nel Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza che produrranno un profondo e positivo mutamento nell’approccio alla gestione della crisi dell’impresa e del consumatore. Tra queste novità c’è, ad esempio, la possibilità di effettuare le cosiddette cartolarizzazioni sociali: in sostanza, anziché vendere all’asta giudiziaria gli immobili a garanzia dei crediti deteriorati ceduti, una società-veicolo (detta ReoCo) compra i beni lasciandoli però nella disponibilità materiale dei debitori, che possono continuare a viverci o a usarli per l’attività produttiva, in previsione di un riacquisto dopo un certo numero di anni. Questo sistema potrebbe offrire un’alternativa al sistema delle aste. Ma, come spiegano gli addetti ai lavori, per svilupparsi avrebbe bisogno di investitori istituzionali che siano disposti a investimenti pazienti.
Quello che certo è che bisogna darsi in fretta una prospettiva. In questa delicata fase di transizione verso il ritorno alla normalità, dopo oltre un anno di emergenza sanitaria, economica e sociale, bisogna sostenere i debitori. In assenza di una strategia orientata in questo senso, chi ha visto i propri bilanci familiari travolti dalla crisi finirà inesorabilmente nelle braccia del cosiddetto welfare criminale. Con tutto il suo pericoloso corollario di usura e riciclaggio.
Luciano Gualzetti
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