I lombardi, in generale, e naturalmente anche quelli che si dedicano al volontariato sono orgogliosi della loro capacità di fare. Però, proprio, la crisi sociale prodotta dal Coronavirus ci sta mostrando i limiti del nostro pragmatismo. Sappiamo che la capacità di trovare risposte concrete ai problemi del tanto celebrato Terzo Settore rischia di essere sopraffatta dall’ondata di bisogni che sta alzando il lungo lockdown, misura per altro necessaria a contenere il contagio. Per non essere travolti dallo tsunami che s’intravede all’orizzonte, occorre più che mai un’ampia, corale e coesa azione politica che affronti le questioni urgenti in termini di diritti. Non vi sono più scappatoie possibili. La drammaticità e la profondità della sofferenza sociale, ben più grave di quella che la crisi finanziaria del decennio scorso ha lasciato dietro di sé, esigono una reazione proporzionata.
Nelle democrazie ogni decisione ha bisogno di poggiarsi sul consenso dei cittadini. Per questo è nella crisi che vanno trovate le ragioni e le motivazioni collettive. Fortunatamente, in mezzo alle difficoltà, ci sono anche segnali positivi. Proprio la quarantena ha fatto venire al pettine e ha reso evidenti anche alla generalità dei cittadini nodi irrisolti molto dibattuti dagli esperti ma che avevano avuto sino ad ora solo una flebile eco al di fuori di convegni e seminari.
L’opinione pubblica si è accorta, per esempio, che il lavoro in nero e precario non mette al riparo dalla povertà. Si sono viste in coda davanti agli Empori della Solidarietà della Caritas colf e badanti, camerieri, addetti alle pulizie nei grandi alberghi, tutti lavoratori deboli perché fuori dalle regole o perché assunti con contratti fragili. Non solo. Durante le settimane in cui il contagio sembrava inarrestabile, persino gli invisibili per eccellenza, i senza tetto, hanno avuto il loro minuto di gloria. Mentre “stai a casa” diventava un imperativo morale, grazie a popolari programmi televisivi, i cittadini hanno capito che gli homeless mettevano a rischio loro stessi e la collettività proprio perché non avevano una casa dove stare. Anche un tema impopolare come quello delle pene alternative al carcere è apparso come la sola soluzione ragionevole per evitare che i penitenziari italiani cronicamente sovraffollati diventassero dei focolai.
Ora, non basta vedere i problemi, per volerli risolvere. Nessuno si illude che saremo capaci di mettere mano a quello che non va da anni. Tuttavia saremmo davvero degli irresponsabili se non facessimo tesoro di questa presa di coscienza, forse ancora acerba, embrionale, e tuttavia, promettente. L’Arcivescovo di Milano Mario Delpini ha scritto una lettera pastorale che ha per titolo “la situazione è occasione”. Quando l’ha mandata alle stampe, non poteva immaginare quello che sarebbe accaduto. Ma proprio quelle parole possono esserci d’ispirazione oggi per questi tempi difficili.
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