Secondo l’ultima ricerca realizzata dall’Osservatorio delle Povertà di Caritas Ambrosiana sono oltre 300 le persone che negli anni 2017 e 2018 si sono impoverite a causa del gioco d’azzardo. Il dato è parziale. Innanzitutto perché raccoglie le indicazioni solo del 30% dei centri di ascolto presenti in diocesi. Inoltre perché registra – e non potrebbe essere diversamente – solo quello che i volontari dei centri di ascolto riescono a ricostruire leggendo tra le pieghe dei racconti degli utenti. Nonostante ciò l’indagine è molta significativa perché ci mostra due cose. La prima è che il fenomeno è molto più diffuso di quanto le reti sociali, anche quelle più capillari e prossime, riescono ad intercettare. La seconda, e forse più importante indicazione che ci viene dall’indagine, è l’enormità dell’impatto che la dipendenza da gioco può avere sulla vita delle persone.
Più dei numeri, parlano le storie di vita. I giocatori patologici che sono arrivati a chiedere aiuto in parrocchia generalmente non avevano storie di povertà pregressa. Dal racconto riferito dagli operatori dei centri di ascolto si ricavano identikit di persone per lo più non marginali, con un lavoro, una famiglia.
Addirittura persone del cosiddetto ceto medio come ad esempio S., impiegato in un negozio di abbigliamento da cui viene licenziato, quando il titolare lo sorprende a rubare dalla cassa somme anche ingenti che spendeva alla macchinette. O come L., panettiere, che un giorno se ne va di casa lasciando in un cassetto le bollette scoperte che non riusciva più a pagare a causa delle perdite da gioco.
Quando queste persone arrivano ai centri di ascolto non hanno solo conti correnti prosciugati, case pignorate, carriere lavorative compromesse. Spesso si ritrovano con vite familiari, sentimentali provate se non sconvolte.
Certo i rapporti di causa ed effetto non sono sempre lineari. Non si può dire che il gioco sia sempre stata la causa scatenante. Scavando sotto la superficie, emergono nodi irrisolti, conflitti, tensioni, questioni intricate difficili da scandagliare. Tutto vero. Tuttavia l’azzardo segna sempre un prima e un poi in queste esistenze fragili. Ad un certo punto la storia prende una china pericolosa e all’inizio di questa discesa c’è sempre l’immagine scintillante di una slot machine, il biglietto colorato di un gioco a premi.
Secondo un’indagine dell’Istituto Superiore di Sanità, in Italia 18 milioni di adulti hanno giocato d’azzardo almeno una volta nell’ultimo anno. Di questi più di 13 milioni giocano in modo sociale, due milioni presentano un profilo a basso rischio, mentre un milione e 400mila persone presentano un rischio moderato e un milione e mezzo sono giocatori problematici, di questi 70.000 sono minori.
Gli esperti sostengono che a favorire comportamenti di gioco problematici fino alla dipendenza non è stata solo la moltiplicazione esponenziale dell’offerta di luoghi in cui giocare d’azzardo cui abbiamo assistito negli ultimi vent’anni, ma anche l’introduzione dell’azzardo on line che consente di scommettere a tutte le ore, ovunque, in modo solitario: tutte caratteristiche alla base di comportamenti compulsivi.
Non sarebbe a questo punto opportuno fermarsi un attimo e riflettere? Non varrebbe allora la pena chiedersi se, mi si passi l’espressione, il gioco vale davvero la pena?
Luciano Gualzetti
Leggi tutto l'inserto Farsi Prossimo sul Segno di febbraio 2020