In “Cecità”, José Saramago racconta con spietatezza la crudeltà di cui sono capaci gli uomini quando si diffonde il contagio di una malattia sconosciuta. Fortunatamente, al contrario di quello che accade nel romanzo dello scrittore portoghese, premio Nobel per la letteratura, in questi giorni di angoscia per la diffusione del Coronavirus in tanti continuano a pensare che il modo migliore per reagire al male sia fare il bene. Lo stanno facendo con un grande spirito di abnegazione medici, infermieri, personale sanitario, sopperendo con un lavoro straordinario a un sistema sanitario di cui eravamo orgogliosi specie in Lombardia ma che scopriamo improvvisamente fragile. A loro deve andare tutto il nostro riconoscimento. Ma qui vorrei ricordare anche i tanti volontari e operatori che in questi giorni continuano a prestare servizio nelle mense per i poveri e nei dormitori per i senza tetto.
Si discute parecchio del prezzo che le imprese pagheranno alle misure imposte dalle autorità allo scopo di contenere il diffondersi dell’infezione. Si parla molto meno del costo che quei provvedimenti stanno già avendo per le persone più vulnerabili. Badanti, colf, lavoratori precari sono nudi di fronte a questa nuova emergenza. Non possono mettersi in ferie, prendere giorni di malattia, optare per lo smart working. Senza cassa integrazione, congedi parentali, che valgono per altre categorie, avendo smesso di lavorare hanno anche dovuto rinunciare a entrate spesso modeste. E vivendo da anni sulla linea di galleggiamento, rischiano di finire sommersi. Non solo. In questi giorni in cui siamo invitati a stare a casa, ci rendiamo conto di quanto drammatico possa essere non avercela, una casa. I senzatetto sono diventati, loro malgrado, il simbolo di questa crisi: una contraddizione vivente tra il nostro bisogno di proteggere noi stessi e gli altri dal virus
Per tutte queste ragioni Caritas Ambrosiana ha deciso non chiudere. Per aiutare chi è più indifeso e al tempo stesso tutelare la sua salute e quella di chi gli sta accanto abbiamo riorganizzato i servizi: al Refettorio Ambrosiano, la cena viene servita su più turni in modo che gli ospiti entrando a piccoli gruppi possano sedersi a tavola distanti gli uni dagli altri; al Rifugio Caritas medici e operatori misurano la febbre agli ospiti prima che entrino nella struttura; negli Empori della Solidarietà si fa la spesa su appuntamento e in tutti gli sportelli ci si è organizzati per evitare che le sale di attesa dei colloqui si affollino.
Tutto questo grande sforzo riorganizzativo non sarebbe stato possibile senza la comprensione, il coraggio e l’altruismo proprio dei nostri volontari e operatori. In questi giorni vanno molto di moda le metafore belliche. Medici e infermieri sono diventati soldati sul fronte. I malati che muoiono, caduti. Utilizzando la stessa retorica, dovremmo dire che accanto alla trincea sanitaria ce n’è una sociale dentro la quale in tanti combattono. Tuttavia a queste metafore, preferisco un paragone ispirato proprio dalle pagine del romanzo di Saramago. In quel terribile racconto, mentre tutti diventano improvvisamente ciechi, la sola che continua a vedere è la moglie del medico che ha individuato il primo caso. Risparmiata misteriosamente dalla cecità, la donna sceglie di aiutare gli altri. Ecco forse i volontari e gli operatori che in questi giorni si stanno impegnando, mi ricordano quel personaggio. Tengono tenacemente e aiutano tutti a tenere gli occhi aperti con uno sguardo attento a coloro che rischiano ancor di più in un momento di isolamento forzato, di essere invisibili. La loro solidarietà è un bene prezioso che ci aiuta a uscire dalle nostre angosce e incertezze, che dobbiamo custodire in questi giorni difficili.
Luciano Gualzetti
Leggi tutto l'inserto Farsi Prossimo sul Segno di aprile 2020