Sotto la Milano dei grattacieli da primato e delle “week” è sempre esistita la città del lavoro precario, intermittente e in nero. In tempi normali hanno convissuto, l’una accanto all’altra, in un equilibrio precario ma che ha tenuto. Ora l’epidemia ha messo in letargo la prima, ma sta cancellando la seconda e rischia di far saltare quella convivenza sino ad ora pacifica.
Ci siamo accorti presto che la quarantena non ha colpito tutti allo stesso modo. Per colf e badanti, lavapiatti e camerieri, addetti alle pulizie nei grandi alberghi il lockdown ha devastato bilanci familiari, spesso già al limite della sussistenza.
Ci siamo anche resi conto che intervenire e farlo tempestivamente, prima che la situazione peggiori e diventi più difficile recuperare il terreno perduto, non è affatto facile. Tutte le misure previste sino ad ora dal governo non raggiungeranno una parte significativa di quei lavoratori danneggiati dagli effetti collaterali del Coronavirus. Come d’altronde poter dare un contributo a chi perde il lavoro, se quel lavoro ufficialmente non esiste?
Ancora una volta è risultata preziosa la rete di protezione dei centri di ascolto e dei servizi Caritas. La prima e immediata risposta è stata la distribuzione di generi alimentari.
Dal 24 febbraio, ovvero dall’inizio dell’emergenza sanitaria in Lombardia, abbiamo potenziato gli 8 Empori e distribuito tessere di emergenza. Attraverso questa rete oggi distribuiamo al giorno 5,5 quintali di generi alimentari, il 50% in più rispetto al periodo precedente alla crisi e raggiungiamo 2mila famiglie, il 25% in più. Nel frattempo continua la distribuzione dei pacchi viveri in 126 centri di ascolto fuori da Milano, dove nonostante le limitazioni imposte dalla quarantena, questo servizio essenziale è rimasto attivo.
In città, abbiamo scelto di collaborare con il sistema di distribuzione messo in campo dal Comune con gli 8 hub municipali. Complessivamente stimiamo che siano raggiunte da questi aiuti 16.500 famiglie, 3mila solo nel capoluogo.
Inoltre per rispondere a questa situazione del tutto inedita è scesa in campo anche la Diocesi. Come fece già più di 12 anni fa, allo scoppio della crisi finanziaria, ha voluto istituire un fondo per aiutare le famiglie che hanno perso il lavoro in seguito al lockdown. Il Fondo San Giuseppe che l’Arcivescovo di Milano ha voluto intitolare al santo patrono dei papà e dei lavoratori, partito con un patrimonio iniziale di 4 milioni (due offerti dalla Curia e due dal Comune) grazie alle donazioni dei fedeli e cittadini ha già superato i 5 milioni. Le risorse saranno distribuite attraverso la stessa rete dei centri di ascolto impiegata per il Fondo Famiglia Lavoro voluto nel 2008 dall’allora Arcivescovo Dionigi Tettamanzi.
Infine per raggiungere anche quelle famiglie che non potranno accedere a questi aiuti, è stato raddoppiato il Fondo Diocesano di Assistenza. Il patrimonio che ammonta a 700mila euro potrà essere speso per aiutare per i prossimi tre mesi chi non riesce più a sostenere spese urgenti e non procrastinabili: dalle bollette all’affitto.
Gli strumenti messi in campo sono diversi, coprono molti differenti bisogni e rispondono a diverse tipologie di persone.
Tuttavia sappiamo che questi interventi non saranno sufficienti se le attività economiche non riprenderanno in un tempo ragionevole e non si metterà mano al sistema di welfare pubblico, rimodulandolo, in modo da coprire chi non è mai stato tutelato e che oggi più che mai non può essere lasciato indietro.
Luciano Gualzetti
Leggi tutto l'inserto di Farsi Prossimo sul Segno di maggio 2020