In un anno è quasi dimezzata la presenza delle nigeriane costrette a prostituirsi lungo i vialoni di Milano. È quanto emerge dagli ultimi dati raccolti dall’unità di strada Avenida di Caritas Ambrosiana, che due sere alla settimana fa il giro della circonvallazione esterna della città per portare aiuto o anche solo conforto alle donne. Viene da chiedersi se sia una buona notizia. La domanda non è oziosa. Perché, se ci si pensa bene, la risposta che diamo non solo aiuta a comprendere il fenomeno ma dice molto anche di noi stessi, delle nostre priorità, della visione che abbiamo del mondo.
Ma torniamo ai dati. Nel 2018 proveniva dal paese africano il 23% delle schiave del sesso intercettate sui marciapiedi della città, nel 2019 il 14,2%. Il calo, davvero significativo, è strettamente collegato alla diminuzione degli sbarchi. Prima della guerra in Libia, i racket nigeriani che gestiscono la tratta, imbarcavano le donne su voli di linea. Alla frontiera le ragazze esibivano normali visti turistici che, una volta nel nostro Paese, lasciavano scadere senza rientrare in patria. L’operazione aveva ovviamente un costo che le organizzazioni caricavano sulle spalle delle loro vittime. Da quando la Libia è precipitata nel caos, i trafficanti hanno trovato più conveniente accordarsi con gli scafisti e utilizzare le carrette del mare cariche di disperati per far arrivare in Italia la loro merce - mi si passi il termine crudo ma è di questo che si tratta. La situazione è andata avanti per anni. Fino a quando, da una parte, i maggiori controlli della guarda costiera libica e, dall’altra, la politica dei porti chiusi attuata dal nostro governo hanno indotto le organizzazioni criminali a cambiare strategia. È un bene? Possiamo rispondere che non lo è certamente per le giovani donne prostituite: la tratta delle nigeriane non è si è fermata, ma si è spostata altrove. Ci arrivano racconti agghiaccianti dalle organizzazioni umanitarie che monitorano le condizioni di vita dei lavoratori nelle miniere d’oro sparse per l’Africa subsahariana ai quali queste donne sono costrette a vendersi. Per non parlare delle brutalità che confidano quelle che sono rimaste bloccate nei centri di detenzione libici, le poche ovviamente che riescono a far arrivare sino a noi la loro voce.
La diminuzione sulle strade delle nigeriane è un bene per i cittadini? Ha aumentato il loro senso di sicurezza? Ha migliorato il decoro urbano della città? Ammesso e non concesso che si possa far finta di nulla e rimanere indifferenti alle testimonianze orribili che ci arrivano dall’altra sponda del Mediterraneo, è illusorio credere di averne tratto almeno un immediato, egoistico, beneficio.
Sempre i dati raccolti dalla nostra unità di strada dicono che le nigeriane sono state rimpiazzate da donne di altre provenienze, in particolare dall’Est Europa: rumene (soprattutto) e albanesi, che da sole costituiscono il 70% delle presenze. Poiché la domanda di sesso a pagamento non è affatto diminuita, è stata soddisfatta da un “prodotto sostitutivo”, più facilmente reperibile nelle nuove condizioni. In questo modo i racket albanesi (pare i più attivi) hanno preso il sopravvento monopolizzando il controllo del mercato.
Contro questi gruppi abbiamo anche meno armi per intervenire. Le nigeriane sono in genere motivate a tagliare i ponti con chi le sfrutta. Non è un caso che tutte le 37 ospiti della nostra rete di appartamenti protetti provengano dal paese africano e che di queste 19 abbiano scelto di entrarci solo nell’ultimo anno. Al contrario con albanesi e rumene è più difficile instaurare relazioni che possono aiutare a ricostruire la catena di intermediari che le porta a prostituirsi.
La semplice verità che emerge da questa ricerca è che, in un mondo sempre più interconnesso, ogni chiusura è, in fin dei conti, un modo per scappare dalla realtà. Il solo modo che abbiamo per risolvere i problemi è affrontarli con equilibrio, intelligenza e umanità.
Luciano Gualzetti
Leggi tutto l'inserto Farsi Prossimo sul Segno di marzo 2020