“Prima gli italiani” è stato un mantra del recente governo giallo-verde. Ma in realtà lo slogan era in voga ben prima che la coalizione composta dal M5S e dalla Lega di Matteo Salvini conquistasse il governo del Paese e continua a ispirare ora più ora meno la retorica dei leader politici, specie in Lombardia. Ora i dati dell’ultimo rapporto sulle povertà, che abbiamo presentato alla fine di settembre, relativi all’anno passato, il 2018, dimostrano quanto sia vuota quell’affermazione.
Il numero di persone che si sono rivolte ai centri di ascolto della Caritas Ambrosiana è tornato ad essere quello che registravamo prima della grande crisi economica iniziata nel 2008 ed esplosa negli anni immediatamente successivi. Senza dubbio una buona notizia. È, invece, molto meno buona la considerazione che si ricava dall’analisi del campione degli utenti. Anche gli ultimi dati, infatti, confermano l’avanzata dei nostri connazionali. Mentre gli italiani costretti a chiedere aiuto alla Caritas Ambrosiana prima del 2008 non hanno mai superato il 30% del totale, l’anno scorso sono ulteriormente aumentati raggiungendo il 37,3% del totale. I poveri con il passaporto rilasciato dal Paese restano, dunque, la minoranza ma sono ogni anno un po’ di più.
Rispetto agli immigrati che ricorrono ai servizi offerti dalla Caritas, gli italiani sono in genere più anziani, hanno una più bassa scolarità, fanno molta più fatica ad uscire dal circuito dell’assistenza e sono più esposti al rischio di sviluppare forme di disagio psicologico, se non veri e propri disturbi psichiatrici che colpiscono complessivamente quasi un utente su 10, come il rapporto ha messo in evidenza.
Se i nostri connazionali hanno vinto il pudore di chiedere aiuto in parrocchia significa che la politica non è riuscita ad occuparsi efficacemente di loro, proprio al contrario di quanto abbia promesso.
L’incremento degli italiani presso gli sportelli della Caritas sparsi nel vasto territorio della Diocesi (che copre metà della Lombardia) denuncia l’inefficacia delle parole d’ordine sovraniste. Efficacissime, invece, per raggiungere un altro obiettivo: creare a chi governa un alibi perfetto per giustificare la proprie incapacità di affrontare il grande cambiamento d’epoca che stiamo vivendo.
Quel cambiamento, ad esempio, che ha schiacciato Felice, l’ultimo edicolante di via Padova, la strada più multietnica di Milano, al quale abbiamo pagato le bollette per evitargli l’umiliazione di trovarsi senza luce a casa propria.
Oggi al posto della sua rivendita di giornali ha aperto i battenti una macelleria islamica. Nel condominio, dove è nato, cresciuto e dove tutt’oggi abita, sono venute a vivere famiglie di cingalesi, sudamericani, egiziani: un mix di culture diverse che stanno, faticosamente, trovando il modo di stare assieme.
A lui e a molti altri che si trovano nella sua stessa condizione è facilissimo raccontare che la colpa della sue disavventure va trovata nei suoi vicini di casa dalle abitudini diverse, a volte anche moleste, e non invece nell’inadeguatezza di un sistema Paese che, ad esempio, non ha saputo accompagnare la grande trasformazione tecnologica che ha travolto interi settori dell’economia, come quello dell’editoria ed in particolare della carta stampata.
Per smontare lo slogan “prima gli italiani”, papa Francesco ci ricorda che nel Vangelo vengono sempre prima gli ultimi. A loro si ispira la dottrina sociale della Chiesa. Ci sembra una prospettiva non solo più giusta ed equa ma anche più promettente per il futuro di tutti. Italiani compresi. Naturalmente.
Luciano Gualzetti
Leggi tutto l'inserto Farsi Prossimo sul Segno di novembre 2019