Secondo le nostre stime, a Milano 18 mila persone si recano nei centri di ascolto di Caritas Ambrosiana per chiedere aiuti alimentari.
Commentando questi dati, in occasione dell’inaugurazione di Milano Food City ad inizio maggio, l’Arcivescovo Mario Delpini ha detto che «è intollerabile il grido della fame nella città del cibo».
Il sindaco, Giuseppe Sala, seduto accanto all’Arcivescovo, ha riconosciuto che Milano corre a due velocità e si è assunto l’impegno di ridurre entro la fine del suo mandato la distanza tra la città che cresce nella ricchezza e negli investimenti e quella che arranca. Una sfida impegnativa, di cui il Sindaco coraggiosamente si è fatto carico in prima persona, dichiarando di ritenersi sconfitto se alla fine del suo mandato il numero di coloro che hanno bisogno di aiuto non sarà diminuito. La posta in gioco, tuttavia, è di portata tale da andare ben oltre la personale carriera politica del primo cittadino. Riguarda la città nel suo complesso e chiama alle proprie responsabilità tutti: politica, società civile e Chiesa compresa.
La risposta con cui è stata affrontata questa sfida è stata fino ad oggi la solidarietà. Sul fronte dell’aiuto alimentare sono moltissime le iniziative promosse dal variegato e vivacissimo mondo del terzo settore milanese: fondazioni, cooperative, associazioni. Realtà di ispirazione cristiana ma anche laiche. Molte di queste hanno beneficiato degli effetti della legge Gadda che per la prima volta in maniera organica ha offerto un quadro di regole chiare per le donazioni delle eccedenze alimentari. Tra queste realtà c’è anche la Caritas Ambrosiana, che in concomitanza con quella norma, ha riorganizzato la distribuzione degli aiuti alimentari creando un sistema in grado di reimmettere nel circuito della solidarietà in tutto il territorio della Diocesi di Milano 1.600 tonnellate di eccedenze donate da 15 aziende (soprattutto di distribuzione) attraverso una mensa solidale (il Refettorio Ambrosiano), 6 Empori della solidarietà, 6 Botteghe parrocchiali, 300 centri di distribuzione parrocchiali.
La lotta allo spreco in nome della solidarietà verso chi non ha o ha meno è giusta, necessaria e va incrementata perché permette di sanare un grande scaldalo del nostro tempo, come ci ha ricordato Papa Francesco: abbiamo cibo per tutti, ma non tutti hanno il cibo per nutrirsi in modo sufficiente e adeguato. Tuttavia, per affrontare il compito che abbiamo davanti da sola non basta: occorre far un passo ulteriore. E per compierlo bisogna capire di che cosa hanno bisogno davvero le persone che domandano aiuti alimentari. La maggioranza di coloro che hanno chiesto questo tipo di sostegno è fatto da donne. Le più anziane sono italiane, le più giovani straniere. Entrambe hanno redditi insufficienti per sostenere il costo della vita in una metropoli come è il capoluogo lombardo. Le prime perché percepiscono pensioni minime, in parte erose da una spesa sanitaria che aumenta generalmente con l’età e non è sempre del tutto coperta dal sistema sanitario nazionale. Le seconde hanno mariti sottopagati o con lavori ad intermittenza e quindi si trovano in difficoltà a far quadrare i bilanci familiari, specie quando ad esempio nasce un nuovo figlio.
Anche da questo sommario e veloce identikit appare evidente che dentro queste storie di vita segnate dalla povertà si celano le contraddizioni del nostro modello sociale: la debolezza del welfare di fronte all'invecchiamento della popolazione, la crisi delle relazioni familiari, l'isolamento sociale di alcune categorie di persone, la precarietà di contratti di lavoro, la bassa ed insufficiente remunerazione di alcune mansioni.
Il bisogno alimentare, in una città come Milano, è allora una potente metafora che riassume in se stessa le tante ferite della nostra società, esattamente come le mani trafitte mentre si protendono verso il pane nel quadro di Safet Zec che ha aperto al Refettorio Ambrosiano la settimana milanese sul cibo. Per non limitarci a lenire quelle ferite ma curarle, vanno affrontate le cause avendo una visione integrale della città che vogliamo costruire.
Luciano Gualzetti
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