Sulla raccolta degli indumenti usati esiste ancora un equivoco. Si pensa che gli abiti che gettiamo nei cassonetti siano destinati a essere indossati dai poveri. L’idea è sbagliata ed è radicata nell’opinione corrente anche perché ci sono operatori che continuano ad alimentarla, quasi sempre, in mala fede. Le cose stanno diversamente. Per una semplice ragione. In Italia, come in molti altri paesi dell’Occidente, il numero d’indigenti non è tale da assorbire tutta l’enorme quantità di capi di abbigliamento che a ogni cambio di stagione eliminiamo dai nostri armadi per far posto a nuovi capi.
Nel nostro Paese, invece, ci sono persone – e sono purtroppo in aumento anche altrove in Europa – che non riescono a pagare le bollette, sono costrette a risparmiare sul cibo, fanno fatica ad acquistare i libri scolastici, non riescono a riqualificarsi quando vengono espulsi dal mercato del lavoro. Per queste ragioni, le cooperative di Caritas Ambrosiana, come altre realtà del terzo settore, hanno immaginato un modo nuovo per tradurre in termini contemporanei una delle opere di misericordia che la tradizione cristiana ci raccomanda: vestire gli ignudi.
Con il tempo sono riuscite a creare in questo settore una filiera solidale capace di dare lavoro a chi non ce l’ha, a creare valore e a donarlo a chi si trova in stato di bisogno, a ridurre l’impatto ambientale prodotto dagli abiti che noi consumatori bulimici trasformiamo in scarto.
In 20 anni esatti dalla loro costituzione hanno sostenuto 200 progetti sociali per un valore di circa 5 milioni di euro, hanno creato 170 posti di lavoro direttamente nella raccolta e nelle attività collegate, tra le quali la catena dei negozi Share. Non da ultimo, dando una seconda vita agli abiti destinati a diventare rifiuti, hanno generato un risparmio per gli abitanti dei territori della diocesi di Milano e Brescia di circa 2 milioni di euro sui costi di smaltimento. E contemporaneamente hanno continuato a destinare ai guardaroba parrocchiali la quota di abiti che serve effettivamente alle persone più disagiate.
Dietro la scritta Dona valore, che si può leggere solo sui cassonetti delle cooperative della rete RIUSE (Raccolta Indumenti Usati Solidale ed Etica) che fanno capo a Caritas Ambrosiana e più recentemente anche alla Caritas della diocesi di Brescia, c’è tutto questo. Un modello di economia circolare che viene guardato con interesse anche oltre i confini nazionali. Ora proprio nell’internazionalizzazione c’è la chiave per interpretare e cogliere le nuove sfide.
Con i principali player del settore, Terre Asbl (Belgio), Oxfam Solidarité Asbl (Belgio), Ebs le Relais Est (Francia), Formacio i Treball (Spagna), le cooperative della rete RIUSE di Caritas Ambrosiana hanno dato vita a Tess (Textile with ethical sustainability and solidarity). Tess è un gruppo europeo di interesse economico (geie) i cui obiettivi sono dare vita a forme di commercio equo tra le imprese sociali che vendono indumenti raccolti in Europa e le imprese sociali (di norma ubicate nel Sud del mondo) che li acquistano e sostenere queste ultime nella fase di start-up.
Ecco proprio la nascita di questa rete internazionale, certificato dal marchio etico Solid’r, offrirà una garanzia maggiore ai cittadini quando sceglieranno i cassonetti gialli Dona valore.
Luciano Gualzetti, direttore di Caritas Ambrosiana
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