Si è appena conclusa un’estate caldissima e non solo in senso metereologico. L’opinione pubblica si è di nuovo infiammata sul tema dell’immigrazione.
Come accade spesso, e sempre più di frequente,
ad innescare l’incendio è stato un episodio, in sé, di piccolo conto, facilmente risolvibile, trasformato invece in un caso politico nazionale: l’arrivo al porto di Catania di un
centinaio di migranti salvati nel Mediterraneo dall’incrociatore della Marina militare, Diciotti. Il braccio di ferro ingaggiato dal nostro governo con le altre cancellerie europee per decidere chi si sarebbe dovuto assumere la responsabilità di accoglierli si è concluso con una sonora sconfitta italiana, e solo l’intervento dei vescovi ha permesso al nostro Paese di salvare almeno la faccia.
Tuttavia il fatto ancora più interessante è stato l’epilogo di quella vicenda.
L’allontanamento spontaneo di una parte significativa di quei migranti, tutti eritrei, dai centri della Caritas dove avevano trovato ospitalità avrebbe potuto aprire un varco nella propaganda. Il Paese si sarebbe dovuto chiedere dove erano andati quei giovani, per quale ragione avevano rifiutato di vivere nutriti e vestiti a nostre spese, bighellonando senza fare nulla, chattando sui loro costosi smartphone, come sostengono i nuovi agit-prop dei social media.
Ci saremmo dovuti chiedere in cambio di cosa avevano barattato l’assistenza offerta così generosamente? Rispondere a quelle domande avrebbe permesso di capire, per esempio, che
quei ragazzi cercavano un futuro e come moltissimi altri che sono giunti in Italia, sapevano di non poterlo trovare da noi. Nei giorni immediatamente successivi al loro arrivo a Milano, gli otto che abbiamo accolto, ci avevano espresso il desiderio di raggiungere i propri parenti in Germania. Una cinquantina di loro, usciti dal centro di accoglienza di Rocca di Papa si sono diretti in Francia.
La verità che quell’episodio fa emergere è che
il nostro Paese non è da tempo la meta di destinazione dei flussi migratori. Che chi arriva da noi vuole andare altrove e sa di avere buone possibilità di riuscirci, nonostante i regolamenti internazionali e i controlli alla frontiera, più sbandierati che effettuati. Tanto appunto da rinunciare ad un’offerta sicura di accoglienza, come è stato nel caso dei reduci della Diciotti.
Qualcuno potrebbe pure rallegrarsene. Le persone più serie dovrebbero invece chiedersi
come mai abbiamo smesso di essere attrattivi per i migranti. Invece che litigare tra presunti buonisti e cattivisti, o di gonfiare i muscoli come bulli pestando i pugni sul tavolo con i nostri vicini europei, dovremmo interrogarci sulle ragioni per le quali la ripresa economica nel nostro Paese è più lenta che altrove, genera meno che altrove nuova occupazione;
per quale ragione nonostante una tassazione che pesa sulle tasche dei cittadini italiani più che in altri stati membri della Ue, abbiamo meno servizi, meno risorse.
Dovremmo discutere sui motivi per i quali il nostro sistema di welfare invece di aiutare chi sta peggio a migliorare la propria situazione rimettendolo nella condizione di tornare a contribuire al benessere di tutti, lo imprigiona in un’assistenza senza fine.
Naturalmente di tutto questo non parliamo e preferiamo prendercela con chi sta peggio di noi.
Luciano Gualzetti
Leggi tutto l'inserto "Farsi Prossimo" del Segno di Ottobre 2018