Dopo un lungo periodo di crisi, per la prima volta il Rapporto delle povertà, presentato a novembre, da Caritas Ambrosiana mette in luce una prima inversione di tendenza. Tutti i principali indicatori che misurano lo stato di bisogno degli utenti tornano ai valori precedenti al 2008.
È presto, naturalmente, per dire che siamo fuori dal tunnel anche in un territorio come quello di Milano e della sua diocesi che gli economisti ci dicono essersi rimesso in moto e aver recuperato quel ruolo trainante del Paese che storicamente ha svolto. Quello che è invece il Rapporto dice con certezza è che chi è stato colpito dalla crisi è rimasto intrappolato sotto le macerie e non si è ancora rialzato. Il dato più allarmate che emerge è infatti la cronicizzazione della povertà. Se prima del 2008, i poveri cronici erano uno su tre assistiti, oggi chi non riesce ad uscire dalla povertà e quindi è costretto a chiedere un aiuto ai centri di ascolto per più anni di seguito è una persona su due. Dai dati risulta inoltre che i più fragili sono proprio gli italiani. Se infatti in generale un terzo degli assistiti è disoccupato da più di due anni consecutivi, questa percentuale sale oltre il 40% proprio tra i nostri connazionali.
Contemporaneamente, però, il Rapporto fa suonare un altro campanello di allarme. Questa volta relativo agli stranieri. Nei centri di ascolto il loro numero è calato rispetto al 2008. In otto anni un terzo di loro non ha più bussato alle porte della Caritas Ambrosiana. Si può presumere con buona approssimazione che abbiano smesso di aver bisogno del nostro aiuto. Nello stesso tempo, però, si sono fatti avanti i nuovi venuti. Colpisce che tra i nostri assistiti prevalgano gli immigrati provenienti dai paesi subsahariani (42%) sugli europei (24,5%), nonostante siano questi ultimi i più numerosi sul territorio. Dalle nazionalità e dall’esame del loro status legale emerge chiaramente che costoro sono quei richiedenti asilo, arrivati nel nostro paese coi barconi, cui è stato rifiutato il titolo di rifugiati politici e che quindi si ritrovano sul territorio senza casa, lavoro e nemmeno un permesso di soggiorno, requisito indispensabile per qualsiasi percorso di integrazione.
Se le cose stanno così si impone allora un ragionamento: come aiutare i primi, gli italiani fragili schiacciati dalla crisi, senza dimenticarci dei secondi, spesso giovani di colore che hanno affrontato il deserto e il Mediterraneo e in fondo ci chiedono solo una possibilità.
Nel discorso pubblico gli uni e gli altri vengono spesso contrapposti. Fintanto che si continuerà a farlo difficilmente potremmo aspettarci che dalle istituzioni venga una soluzione ai problemi di nessuno dei due gruppi.
Alla luce di tutto questo è per noi importante curare le comunità perché prevengano il conflitto tra i poveri e le semplificazioni chiedendo a tutti, istituzioni, imprese, terzo settore un supplemento di responsabilità per superare l’indifferenza nei confronti dei poveri. I quali devono parallelamente diventare protagonisti del loro riscatto partecipando ai percorsi di integrazione e cittadinanza.
Luciano Gualzetti
Leggi tutto l'inserto di Farsi Prossimo sul Segno di Dicembre 2017