Abbiamo appena attraversato una delle estati più calde degli ultimi anni. La siccità che ha segnato questi mesi pare non solo meteorologica. Ad essersi inaridito non è solo il paesaggio fisico ma anche il panorama sociale del nostro Paese. Tutto intorno a noi parrebbe dire che la civiltà dell’amore basata sul dono, la gratuità, il primato della vita e della persona, dei popoli e del bene comune non sia possibile. Sembra di stare in un deserto che non riesce a fiorire, anzi....
Si prenda ad esempio l’atteggiamento degli italiani nei confronti dei migranti. Sono aumentati, arrivando ad un terzo (36%) i nostri connazionali che vorrebbero respingerli tutti. E anche tra i pochi che sarebbero pronti ad accoglierli il 43% dice che bisognerebbe accettare solo i profughi provenienti, ad esempio, dalle zone di guerra, e respingere gli immigrati che giungono solo per motivi economici. L’immigrazione è salita in cima alle paure degli italiani (48%) seguita dal terrorismo (39%), superando la disoccupazione e le tasse, da sempre ai primi posti. Ovvio allora che non solo gli stranieri ma anche chi li aiuta venga criminalizzato.
Non va meglio sul piano economico: la lunga crisi economica pare non averci insegnato nulla. Le regole fondamentali restano immutate né si intravvede un qualche cambiamento. Continuiamo a promuovere un consumo ossessivo, a credere che qualsiasi regola al mercato sia una minaccia al benessere. Non si riesce a trovare nessuna governance democratica per la finanza i cui meccanismi appaiono sempre più impersonali e sfuggenti. La tecnocrazia amplia i suoi poteri imponendo diritti di proprietà intellettuale su farmaci e sementi, cioè le basi della nostra stessa vita biologica.
Eppure in questo scenario desolante il Santo Padre ci ricorda che è proprio nel deserto che si torna a scoprire il valore di ciò che è essenziale per vivere. Le persone di fede sanno che è proprio nei momenti più aridi che occorre tenere viva la testimonianza. “Non lasciamoci rubare la speranza!” ha quasi implorato papa Francesco all’inizio del suo Pontificato, nella frase più famosa della sua prima esortazione apostolica “Evangelii Gaudium”.
Molte eminenti figure ci dicono che siamo di fronte ad un bivio della storia: possiamo scegliere se dare ascolto ai fomentatori della paura, del rancore e dell’odio oppure seguire quello che ci chiede di fare Papa Francesco: “vivere insieme, mescolarci, incontrarci, prenderci in braccio, appoggiarci, partecipare a questa marea un po’ caotica che può trasformarsi in una vera esperienza di fraternità, in una carovana solidale, in maggiori possibilità di incontro e di solidarietà tra tutti” (cfr. EG n. 87).
Il Santo Padre ci indica anche un metodo per, appunto, non lasciarci rubare la speranza. Uscire da noi stessi, dalle nostre chiese per andare incontro al mondo, impegnarci verso i poveri, i piccoli, gli esclusi. Coltivare le relazioni, l’ascolto il dialogo. Insistere sulla formazione ed educazione, scommettendo sulla capacità di cambiamento delle persone. Costruire comunità accoglienti, testimoniare che può esistere un’economia basata sul dono e una politica sul servizio al bene comune.
È un programma impegnativo affidato a tutti i credenti e ad ogni uomo di buona volontà. Gli operatori della Caritas vi sono richiamati in modo speciale. All’inizio del nuovo anno pastorale, il compito che ci attende è di “stare nel mezzo”.
Stare nel mezzo vuol dire non solo stare in mezzo ai poveri, ma anche tra loro e chi ne ha paura. Aiutare chi arriva e chi si sente defraudato dai nuovi venuti. Smontare le paure degli impauriti esercitando anche con loro l’ascolto che diamo a chi bussa alle nostre porte. Solo così eviteremo che a prevalere siano i fomentatori di odio e i ladri di speranza.
Luciano Gualzetti
Leggi tutto l'inserto di Farsi Prossimo sul Segno di Ottobre 2017