Il giorno 8 febbraio abbiamo celebrato a Milano la
Giornata mondiale contro la tratta delle persone che dallo scorso anno la Chiesa ha voluto abbinare alla memoria liturgica di santa Giuseppina Bakhita: nata in Sudan nel 1868, dopo essere stata venduta come schiava all’età di 7 anni viene comprata a Kartum dal console italiano, grazie al quale arriva in Italia dove conosce le suore Canossiane e il cristianesimo cui si converte. La sua storia di sofferenza e “cosificazione” è diventata motivo di ispirazione – almeno per i cristiani - nella lotta contro quella forma di mercificazione degli esseri umani che si manifesta nel fenomeno della
tratta delle persone. Pensate che secondo le organizzazioni internazionali circa 21 milioni di persone, spesso povere e vulnerabili, sono vittime di tratta a scopo di sfruttamento sessuale o lavoro forzato, espianto di organi, accattonaggio forzato, servitù domestica, matrimonio forzato, adozione illegale e altre forme di sfruttamento. Ogni anno, circa 2,5 milioni di persone sono vittime di traffico di esseri umani e riduzione in schiavitù; il 60 per cento sono donne e minori. Spesso subiscono abusi e violenze inaudite. D’altro canto, per trafficanti e sfruttatori la tratta di esseri umani è una delle attività illegali più lucrative al mondo: rende complessivamente 32 miliardi di dollari l’anno ed è il terzo “business” più redditizio, dopo il traffico di droga e di armi.
In Italia la normativa prevede percorsi di protezione e accompagnamento all’autonomia per le persone vittime di tratta che decidono di uscire dallo sfruttamento. Tale dispositivo di legge è stato per anni molto innovativo a livello europeo, prevedendo che il permesso di soggiorno per protezione sociale venga dato anche in assenza di denuncia nei confronti dello sfruttatore; non segue quindi una logica “premiale” ma riconosce nella persona vittima di tratta e sfruttamento un soggetto vulnerabile che merita attenzione e aiuto a prescindere dalla disponibilità alla denuncia.
Ma noi che cosa possiamo farci? In che modo possiamo contrastare questo vergognoso “mercato”? Non corriamo il rischio di sentirci come Don Chisciotte davanti ai mulini a vento?
In realtà mi sentirei di suggerire alcuni passi, alcune scelte concrete che, come singoli cittadini e come Caritas parrocchiali, possiamo diffondere e favorire.
Ad esempio documentandoci su come Caritas Ambrosiana affronta da anni il tema e su come cerca di venire incontro a quanti – specie donne – finiscono nei nostri territori, meglio sulle nostre strade, come conseguenza di raggiri e imbrogli. Sognavano di avere un lavoro onesto e dignitoso e si trovano costrette a vendersi sotto minaccia per loro e per i loro cari restati al Paese di origine. È chiaro che questa azione di documentazione va di pari passo con un lavoro ininterrotto di sensibilizzazione rispetto al modo maschile di rapportarsi alla realtà femminile: la domanda inarrestabile di prostituzione femminile da parte dei maschi italiani giustifica la necessità di continua “carne fresca” che le organizzazioni criminali non vedono l’ora di poter soddisfare.
Ma c’è un secondo ambito, più delicato e difficile da affrontare nel contrasto della tratta degli esseri umani. Riguarda il vasto mondo dei prodotti a basso costo che troviamo esposti sia nelle sempre presenti bancarelle abusive gestite per lo più da immigrati, sia all’interno di regolarissimi mercati rionali. Di fronte a prodotti venduti a prezzi stracciati non possiamo acquistare senza farci qualche domanda circa la loro provenienza. Potrebbero essere solo dei “tarocchi”, come potrebbero essere solo di scarsa qualità. Ma non escludiamo che il basso prezzo possa essere anche la conseguenza di un lavoro non adeguatamente pagato, fatto da moderni schiavi, da uomini e donne vittime di tratta che finiscono per allungare le fila di chi opera in laboratori malsani e privi delle più elementari norme di sicurezza.
La giornata dell’8 febbraio ha visto la presenza a Milano di un ospite di particolare rilievo, l'indiano Kailash Satyarthi, attivista da anni impegnato nella lotta contro il lavoro schiavo dei bambini, insignito nel 2014 del premio Nobel per la pace insieme a Malala, la coraggiosa ragazzina pachistana che si batte per il diritto allo studio per le bambine. La domenica precedente papa Francesco così si era espresso all’Angelus: «La giornata mondiale ecclesiale contro la tratta di persone offre a tutti l’opportunità di aiutare i nuovi schiavi di oggi a rompere le pesanti catene dello sfruttamento per riappropriarsi della loro libertà e dignità. Penso in particolare a tante donne e uomini e a tanti bambini: occorre fare ogni sforzo per debellare questo crimine e questa intollerabile vergogna».
Don Roberto Davanzo
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