Nel documento con cui veniva annunciato l’Anno Santo della Misericordia papa Francesco invitava a non cadere “nell’indifferenza che umilia, nell’abitudinarietà che anestetizza l’animo e impedisce di scoprire la novità, nel cinismo che distrugge”. E indicava nella riscoperta delle
opere di misericordia l’antidoto praticabile a tutti, perché nel modo più diffuso possibile crescesse questo senso di attenzione per ogni “situazione di precarietà e sofferenza presenti nel mondo di oggi”.
Come operatori di una Caritas la cosa è tanto provvidenziale, quanto obbligatoria. La cosa non ci riguarda in modo esclusivo, ma intuiamo che siamo noi a doverci sentire prioritariamente interpellati. Almeno a reimpararle a memoria!
Quasi infantili nella loro formulazione di vecchio catechismo polveroso il loro
appeal è ormai così scarso che neppure nelle prediche tradizionalistiche vi si ricorre più. Tutti utilizzano termini via via di moda: condivisione, solidarietà, promozione umana, ... Ma le opere, nella loro struttura un po’ semplificatoria ma efficace (qui il corpo, là l’anima; qui i bisogni materiali, là quelli spirituali, tutto compreso nei magici e mnemonici “sette più sette”), rappresentano davvero, con sconcertante puntualità, l’elenco delle necessità umane fondamentali di sempre. Solo la quattordicesima opera,
Pregare Dio per i vivi e per i morti, sottintende una fede religiosa. Tutte le altre indicano un atteggiamento etico realistico e “laico”: di fronte alle componenti brutte dell’esistenza umana, bisogna sporcarsi le mani. Di fronte a un corpo e a una vita che soffre, qualunque sia la ragione, devo fare qualcosa, perché quel corpo funziona come il mio, quella vita vale quanto la mia, e star male non piace a nessuno. Al cuore e all’intelligenza di ogni uomo e donna la capacità di giudizio per scegliere “il come”.
In più, le opere di misericordia si configurano come la “carità di popolo” nell’oggi. La tradizione cristiana indica con la denominazione “opere di misericordia” alcuni gesti e azioni concrete che il cristiano è invitato a compiere a favore del prossimo bisognoso nel corpo e nello spirito. Sono notissime, a livello popolare, soprattutto quelle corporali; un po’ meno quelle spirituali, tutt’altro che superflue però soprattutto nella società attuale, dove alle povertà di carattere economico si sono aggiunte quelle
immateriali, attinenti alla situazione spirituale delle persone intesa nel senso più ampio del termine. Sono opere, cioè azioni concrete in risposta a bisogni concreti, misurate su di essi, così come vengono colti nell’immediatezza dei rapporti quotidiani.
Per compierle non serve l’organizzazione, basta la sensibilità personale (v. l’olio e il vino del samaritano ingredienti della tavola prima che dell’ambulatorio: non alta specializzazione, ma disponibilità a
condividere). Sono quei gesti di amore e bontà che rendono diversa la vita, riscattandola dal male dell’indifferenza e immettendovi quei germi di bene che lo Spirito Santo suscita nell’animo umano, soprattutto a contatto con le situazioni di sofferenza.
Va sottolineata l’importanza fondamentale di una carità che permea di sé la vita quotidiana mediante l’esercizio delle opere di misericordia Esse hanno il vantaggio di essere
accessibili ai cristiani e agli uomini e alle donne di buona volontà di ogni condizione, non esclusi i poveri, e di privilegiare il rapporto interpersonale, sfuggendo così al pericolo di una carità anonima che lascia indifferente sia chi la compie che colui che la riceve. La pratica delle opere di misericordia non giova solamente a coloro che ne sono destinatari immediati: essa promuove più di quanto si pensi - soprattutto se diventa costume, stile, scelta di vita - una nuova qualità di vita e di rinnovamento della società dal di dentro. Ce lo ricorda il Concilio là dove afferma: «Coloro che credono alla carità divina, sono da Cristo resi certi che la strada della carità è aperta a tutti gli uomini... Egli ammonisce a non camminare sulla strada della carità solamente nelle grandi cose, bensì e soprattutto nelle circostanze ordinarie della vita»
(Gaudium et spes, n.
38).
La Caritas, a tutti i livelli, è la traduzione immediata di un solido amore per qualsiasi “paria” di questo mondo, caduto nelle mani dei ladroni di turno e che, proprio per questo, ha minori possibilità di vivere una vita degna dell’uomo. Nella storia della Chiesa, dai suoi albori ad oggi, il “prendersi cura” degli svantaggiati è forse il sacramento più costante e la traduzione più fedele che «senza le opere dell’amore la fede è morta» (Gc 2,17).
Buon Giubileo della Misericordia a tutti.
Don Roberto Davanzo
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