L’ anno pastorale che termina è stato ricco di eventi straordinari. Come Caritas Ambrosiana abbiamo vissuto insieme quella che è stata un’occasione unica rappresentata da EXPO Milano 2015; siamo stati accompagnati dall‘Anno Santo con l’invito a vivere le opere di Misericordia come criterio di fedeltà al Vangelo; c’è stato il cambio del Direttore, con Don Roberto Davanzo che mi ha passato il testimone e la nomina di un nuovo Vicedirettore Don Massimiliano Sabbadini che inizierà a settembre.
Siamo ancora in questa fase di passaggio e non è forse opportuno avventurarsi in un bilancio dell’anno appena terminato, ma guardare piuttosto al prossimo anno pastorale 2016/17.
La lettera del Cardinale Scola “Educarsi al pensiero di Cristo” non a caso si proietta su due anni pastorali: quello appena trascorso e quello che ci apprestiamo a vivere.
Ciò ci ha spinto a riprendere la provocazione che in quella lettera faceva anche agli operatori della Caritas e, attraverso loro, a tutta la comunità cristiana.
Il Cardinale nella lettera pastorale ci indicava che “La carità porta con sé un preciso modo di guardare alla vita, genera cultura. Attraverso le opere di carità si promuove una visione autentica dell’uomo e del suo essere in relazione con gli altri, del suo destino e del senso della sua esistenza”.
E in occasione della Giornata Diocesana Caritas nella sua lettera alle caritas parrocchiali rilevava come ci sia una spaccatura tra fede e vita anche negli operatori della carità: “Non è infrequente ascoltare prese di posizione che portano a pensare al Vangelo, a Gesù Cristo come orizzonte ultimo che però non deve avere pretese di determinare, di orientare, di incanalare le decisioni sociali, politiche ed economiche”.
Come operatori caritas a tutti i livelli dovremmo prendere sul serio questa provocazione. Perché il nostro compito è primariamente quello di avvicinarsi ai poveri con prevalente funzione pedagogica. A partire da essi proporre una visione del mondo alternativa a quella che crea le povertà, le ingiustizie, le violenze. E individuare, soprattutto attraverso la ‘pedagogia dei fatti’, i percorsi educativi per cambiale gli stili di vita e le mentalità delle nostre comunità.
Così, come nella Lettera Pastorale il cardinale riconosceva,: “Le opere di carità diventano in questo modo un’occasione privilegiata di educazione integrale per coloro che le compiono e di testimonianza per tutti gli uomini e le donne che si incontrano. … L’esercizio della carità inoltre è una strada privilegiata per educarsi a nuovi stili di vita”.
Come operatori della Caritas dovremmo chiederci, insieme a tutti gli operatori della pastorale, se la nostra Comunità oggi vive la novità del vangelo. Cioè se vede le cose in modo diverso e rinnovato. Ciò significa domandarsi se non ci sia quella spaccatura tra fede e vita che ci fa essere devoti proclamatori di principi condivisi, che vengono però smentiti nel più quotidiano rapporto con il prossimo, il diverso, l’uso del denaro, i beni, l’ambiente.
In fondo significa domandarsi onestamente qual è la visone del mondo che ci appartiene veramente.
Quella della parola di Dio e del pane spezzato che celebriamo che si fa carità e giustizia. Visione che si trasforma in alcuni punti irrinunciabili nella vita personale fino alla dimensione politica: la persona al centro, la destinazione universale dei beni, la solidarietà e il bene comune.
Oppure siamo appiattiti su quella della mentalità moderna basata sull’individualismo (faccio i fatti miei e gli altri non mi riguardano), sulla cieca fiducia nella tecnica che ci illude onnipotenti, ma senza responsabilità, sull’ossessione del consumo (valgo se possiedo), su un mercato senza regole che mette al centro il dio denaro e il profitto a tutti i costi (umani, ambientali, …).
La Fede non è solo verità di fede, ma diventa vita che deve essere coerente con quello che celebra nell’eucarestia e professa nella Parola. E una comunità che contempla, che ascolta, che vive la carità nella comunione tra i suoi membri e con i poveri non starà mai tranquilla dentro una mentalità comune. Papa Francesco al Convegno di Firenze 2015 ci ha ricordato che il vangelo è rivoluzionario, nel senso che cambia la prospettiva e la visione delle cose, trasfigura la mentalità e produce stili di vita alternativi, che si traducono in scelte economiche e politiche per il bene comune, nella prospettiva di una conversione integrale.
Anche l’impegno per un’ospitalità diffusa dei profughi che il nostro arcivescovo continua a chiedere alle Parrocchie della diocesi, può essere l’occasione per un incontro che possa cambiare le nostre comunità impaurite anche con nuovi strumenti di comprensione e di azione su un tema epocale come quello dell’immigrazione. E fare cultura anche attraverso questi piccoli gesti di accoglienza.
Come operatori della Caritas dobbiamo cogliere questa sfida di una carità che si fa cultura. Ciò può voler dire fare un’iniziativa caritativa in meno per avere il tempo di avviare dei processi e promuovere azioni formative ed educative nelle nostre comunità, di cui siamo al servizio. Per fare in modo che le tante opere di carità che sono promosse nelle nostre comunità diventino vita nuova e cultura veramente cristiana.
Luciano Gualzetti
Leggi tutto l'inserto Farsi Prossimo sul Segno di Luglio/Agosto 2016