Da sempre, da che esiste la Chiesa con il suo calendario liturgico che scandisce i vari tempi e le diverse feste lungo l’anno, la Quaresima - tempo benedetto per “tornare” al Padre – è stato anche tempo di “digiuno”, tempo di ascesi, di rinuncia ai cibi e alle cose, non perché questi siano male, ma per ricordarci che del cibo e delle cose non ci è lecito diventare schiavi: il cibo e le cose sono al nostro servizio, non il contrario.
Non ci sono però dubbi che il vento della secolarizzazione ha fatto sì che noi cristiani d’occidente lasciassimo tutto questo nostro tesoro alle chiese orientali o alle altre religioni come l’Islàm con la sua pratica del digiuno nel mese di Ramadan.
Ecco dunque un possibile e auspicato frutto che l’evento di Expo dovrà lasciare nel vissuto delle nostre comunità: la riappropriazione del legame tra la nostra fede e il modo di usare del cibo. Già, perché se come cristiani della società dei consumi abbiamo smarrito il senso di una certa ascesi, ci hanno poi pensato i dietologi e l’immagine televisiva dell’uomo e della donna alla moda a costringerci a diete ferree, a forme laiche di ascesi ed astinenza, in nome di un benessere in cui ciò che conta è stare bene col proprio corpo ed avere glicemia e colesterolo nei limiti.
E dire che tutta la grande tradizione dei padri della Chiesa era consapevole che il problema non era solo dietetico, ma che la madre di tutte le tentazioni e di tutte le disgrazie che accadono nel mondo sta da sempre in quell'ingordigia che in greco era detta "gastrimarghia", cioè la follia, l'impazzimento del ventre, della pancia. Una smoderatezza che porta alla ricerca di un eccesso di cibo, di una qualità sempre più raffinata, di una incapacità a rispettare i tempi del nutrirsi. Una smoderatezza che in occidente sta causando malattie devastanti come l'obesità infantile, la bulimia, l'anoressia. Un'ingordigia che si pone come il vizio del consumismo, che ottunde le capacità dell'uomo nel rendersi conto che al mondo non c'è solo lui. La Chiesa, da sempre consapevole del carattere decisivo di una corretta educazione al mangiare ha individuato nel digiuno una strada di rimedio rispetto agli eccessi prodotti da una fame non controllata. Un digiuno da vivere non comunque e non solo come terapia salutista, piuttosto che in obbedienza a qualche corrente di spiritualità di moda: nei giorni e nei tempi previsti, da vivere nel segreto e senza ostentazione, da vivere nella letizia (“profùmati ...” cfr Mt 6,17). Il tutto per aiutare a passare dalla logica del consumo alla logica della comunione, premessa indispensabile per superare gli squilibri scandalosi presenti nel mondo a proposito dello sfruttamento delle risorse e dunque di quelle alimentari.
Nell’Antico Testamento la pratica del digiuno si presenta come uno dei segni di appartenenza al popolo di Dio e come una forma necessaria di penitenza e di supplica.
Il significato della parola “digiunare” in ebraico è più ampio del semplice “privarsi del cibo”: indica, in senso più ampio, il privarsi momentaneamente di ciò che può allietarci o inorgoglirci, più generalmente “umiliarsi”, cioè assumere il comportamento che conviene alla creatura peccatrice.
Per essere gradito a Dio il digiuno deve essere unito all’amore del prossimo e comportare una ricerca della vera giustizia, altrimenti è una pratica che non ha valore.
In una Nota Pastorale della CEI sul digiuno di alcuni anni fa si ribadisce l’importanza di questa forma ascetica nella prassi cristiana, sottolineandone l’importanza come strumento per rinvigorire lo spirito, perché l’astensione dal cibo è sempre unita all’ascolto e alla meditazione della Parola di Dio.
Certo, il digiuno non è solo astensione dal cibo, ma anche da tutto ciò che è superfluo, anche dall’occupazione frenetica che non lascia spazio alla preghiera.
Tuttavia, non sarebbe male recuperare con consapevolezza la prassi di astenersi dalle carni il venerdì, non certo ipocritamente per nutrirsi di aragosta o caviale, ma per dichiarare – anche attraverso il linguaggio del cibo – che non siamo padroni della natura, che benchè Dio abbia autorizzato l’uomo a nutrirsi di ogni essere vivente animale, ogni tanto, ad es il venerdì, ci si astenga da questi cibi. Sarà un modo, anche utile a colesterolo e glicemia, per recuperare un rapporto più equilibrato con la creazione tutta.
Don Roberto Davanzo
Leggi tutto l'inserto Farsi Prossimo del Segno di marzo 2015