Non basta la parola

Certamente ricorderete come si concludeva un simpatico spot pubblicitario di qualche decennio fa che declamava le virtù di un efficace lassativo.
In realtà non so se davvero bastasse la parola, di certo sono convinto che questa non è sufficiente se vogliamo definire il modo di operare di una Caritas.
Pensate solo alle energie profuse in questo ultimo anno rispetto alle tematiche per le quali ci siamo coinvolti nell’avventura di Expo 2015. Pensate a quanti momenti formativi abbiamo organizzato e promosso in giro per la Diocesi. Pensate agli strumenti di riflessione che abbiamo offerto a parrocchie, oratori, scuole, imprenditori, ... perché i temi di Expo potessero uscire dalla kermesse di Rho ed entrare nel nostro vissuto quotidiano. E lasciatemi fare un peccato di superbia: se in queste ultime settimane sono apparsi in modo sempre più insistente nei pronunciamenti di alte figure istituzionali argomenti come la lotta allo spreco, la revisione del modello di sviluppo, la relazione di cooperazione con i Paesi più poveri, il superamento delle ingiustizie come condizione perché siano spenti gli innumerevoli focolai di guerra che incendiano il pianeta, ... forse è anche per la discreta ma lucida voce con cui la Chiesa – presente in Expo – sta richiamando al senso autentico di questa esposizione universale.
Tutto questo non sarebbe comunque bastato se non fosse stato accompagnato da una saggia, anche se simbolica, promozione di opere capaci di dare ulteriore sostanza e concretezza alle nostre parole.
Mi riferisco in particolare a due strumenti di sostegno alimentare, ma con l’obiettivo ultimo di generare dignità.
Il primo riguarda quello che abbiamo chiamato col nome di “emporio della solidarietà”. Lo abbiamo inaugurato a Cesano Boscone, lo scorso mese di marzo, con l’idea di sperimentare un modello imitabile anche da altri territori della diocesi. Un emporio, un piccolo supermercato fruibile dalle famiglie variamente seguite dai Centri di Ascolto di una zona pastorale o di un gruppo di decanati, capace di raggiungere almeno due obiettivi: anzitutto quello di consentire alle famiglie in difficoltà di poter beneficiare di aiuti alimentari senza essere “costrette” a mangiare quanto si è riusciti a recuperare per comporre le ormai diffusissime borse della spesa. A questo obiettivo ne aggiungo un secondo: quello di “sollevare” alcune Caritas parrocchiali dall’onere di dover gestire – talvolta non senza affanno – magazzini di derrate alimentari di cui tenere sott’occhio la data di scadenza e altri adempimenti burocratici, finendo per esaurire le poche energie a disposizione che dovrebbero piuttosto essere indirizzate a costruire relazioni di prossimità con le famiglie variamente seguite.
Ma c’è un secondo strumento di cui abbiamo visto aprire i battenti i primi giorni dello scorso giugno. È quello che abbiamo battezzato col nome di “refettorio ambrosiano” e che si è realizzato nei locali messi a disposizione dalla Parrocchia di san Martino in Greco, a Milano. Certo, in ultima analisi si tratta di una mensa per persone povere seguite attraverso progetti di recupero dai servizi Caritas di quel territorio a ridosso della Stazione Centrale. Con due elementi di novità, però. Il fatto di essere nata dall’idea di uno chef di altissimo livello affinché si diffondesse la cultura del riciclo e del riutilizzo di quanto normalmente il mondo della ristorazione spreca. In questi mesi di Expo recuperando derrate alimentari dal sito espositivo, che diversamente finirebbero in discarica, ma, una volta terminato Expo, attivando precisi rapporti di collaborazione con la grande distribuzione organizzata e con i ristoratori milanesi. L’altro elemento di novità risiede nelle opere d’arte che sono state donate per arredare il “refettorio ambrosiano” e che lo rendono, oltre che bellissimo, anche un luogo di educazione alla bellezza e alla cultura. Non solo per quanti saranno accolti perché bisognosi di pane, di vicinanza, di amicizia. Bensì per gli stessi abitanti di quel quartiere, di quella parrocchia, che utilizzandolo per finalità culturali, potranno essere costantemente richiamati alla logica della condivisione, dello spezzare il pane.
Dicevo che si tratta di opere simboliche che ovviamente non hanno alcuna pretesa risolutiva. Ma opere che vogliono tracciare una strada, indicare un metodo affinché quella che chiamiamo “carità alimentare” assuma uno stile e una dignità, sia per quanti ne usufruiranno, sia per quanti la praticheranno.
 
Don Roberto Davanzo

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