Lo scorso mese abbiamo descritto il lavoro che circa venti decanati stanno svolgendo in vista dell’appuntamento del 12 aprile quando diverse famiglie metteranno in gioco il loro protagonismo in vista di una rinnovata capacità di condivisione attorno a quattro ambiti: l’abitare, il lavorare, il consumare e il prendersi cura. L’idea che sta alla base di questa iniziativa è insieme semplice e impegnativa: le questioni poste sul tappeto dalla prossima edizione dell’Expo, seppure centrate sul tema del cibo, rimandano ad un “nutrire” che passa obbligatoriamente da un “con-dividere”. Attori principali di questa condivisione, che diventa antidoto ad un individualismo devastante e triste, sono proprio le famiglie, intese come prioritaria scuola di socialità. Ciò che nutre la vita del pianeta non è solo ciò che soddisfa il fabbisogno energetico-calorico degli esseri umani. Abbiamo bisogno di cibo, ma insieme abbiamo bisogno di casa, di lavoro, di legami. E di questi differenti ingredienti la famiglia può e deve sempre più mostrarsi come il primo luogo nel quale sperimentare una inedita condivisione che peraltro da tempo viene già sperimentata con beneficio di quanti ne sono coinvolti.
La lotta contro la fame passa indubbiamente attraverso il ripensamento dei meccanismi di produzione e distribuzione delle derrate alimentari o la revisione della finanza e del mercato. Così come ha bisogno di norme sempre nuove, capaci di far superare le inequità presenti nel pianeta e che sono la causa di ogni male. Senza dimenticare la necessità di misure finalizzate a combattere l’enorme spreco e le vergognose eccedenze alimentari.
Ma saremmo miopi se ci fermassimo a questo pur necessario livello politico e non ci impegnassimo nel favorire la diffusione di stili di vita quotidiani, accessibili e praticabili dalla base della popolazione.
Intanto perchè lo spreco alimentare avviene anzitutto nelle famiglie (responsabili del 43% dello spreco in Italia), ma poi perchè ogni cambiamento culturale deve passare dagli ambiti più basilari della vita dell’uomo, là dove l’uomo impara a vivere, là dove l’uomo scopre di non essere il padrone del mondo.
Ecco dunque il perchè di questo lavoro che attorno al 12 aprile vedrà l’attuarsi di una significativa tappa di quel percorso che avrà come oggetto l’agire abituale dei singoli e delle famiglie, convinti che la costruzione di un rapporto responsabile e capace di cura nei confronti del pianeta deve partire da scelte quotidiane orientate alla costruzione del bene comune.
Già dicevo che su questo fronte non siamo all’anno zero e che in diverse situazioni alcune famiglie si sono organizzate in esperienze di condivisione del lavoro, dell’abitare, del consumare e del prendersi cura.
Ora si tratta di passare da una dimensione più sperimentale ad una fase di confronto, di riflessione e di diffusione più capillare di proposte, perchè siano prese in considerazione anche da altre famiglie che potrebbero essere interessate e coinvolte.
L’idea di fondo resta sempre la stessa: prima di preoccuparci di aumentare la produzione di beni perchè bastino a tutti, proviamo a redistribuire quelli che già ci sono e che, magari, non vengono usati al massimo delle loro potenzialità. Così per le case – pubbliche e private - che già ci sono e che sono vuote in numeri impressionanti. Così per il cibo che, se acquistato collettivamente, aiuta a sostenere i produttori locali, ci fa risparmiare dal punto di vista del trasporto e del consumo energetico. Così per il tempo che potremmo mettere a disposizione per situazioni di solitudine e di fragilità, rimandando la richiesta dell’intervento dei servizi sociali a quelle più estreme e complesse. Dunque, coraggio. Magari la tua famiglia non si è mai coinvolta in esperienze di questo genere, ma il 12 aprile potrebbe essere l’occasione per scatenare la curiosità.
Don Roberto Davanzo
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