Nei primi giorni di marzo conosceremo Olga. Proveniente dalla Bielorussia, Olga Karatch è una giovane donna, pacifista convinta, difensora dei diritti umani, attivista del diritto all’obiezione di coscienza contro il ricorso alla guerra per la regolazione dei conflitti politici e tra stati. Per il coraggio dimostrato nel lanciare la campagna “No vuol dire no”, contro la coscrizione nell’esercito bielorusso, e per la sua attività contro il regime illiberale di Lukashenko, alleato di Putin, Olga in patria è stata inserita nell’elenco dei terroristi dal Kgb, il servizio segreto nazionale, che ha mantenuto il nome di quello sovietico, e rischia la pena di morte. In Italia, invece, le è stato assegnato (edizione 2023) il prestigioso Premio Alexander Langer. E proprio la Fondazione Langer l’ha invitata in Italia per il tour di incontri che sabato 9 marzo è approdato a Milano, nella sede di Caritas Ambrosiana, grazie alla collaborazione con molti soggetti interessati a tracciare nuovi percorsi di pace, in una stagione di efferati e inconcludenti conflitti armati.
Caritas non ha mai smarrito, anche nei convulsi scenari odierni, la bussola della pace. Pur in una delle stagioni più buie, preoccupanti e laceranti dalla fine della seconda guerra mondiale, continua a credere che sia possibile evitare il rischio, paventato da papa Francesco nel discorso rivolto a inizio anno al corpo diplomatico accreditato in Vaticano, che la “terza guerra mondiale a pezzi” si trasformi in un “vero e proprio conflitto globale”. Perché questo orizzonte sia scongiurato, va fatta una scelta netta: la guerra non è una soluzione per la gestione dei conflitti, e vanno invece rafforzati gli organismi di dialogo multilaterale, come chiesto dal Papa. Governanti e istituzioni hanno una responsabilità decisiva e drammatica: ma non dobbiamo pensare che la costruzione della pace sia affare esclusivamente loro.
Anche a noi, cittadini e fedeli comuni, spetta il compito di costruire la pace. Infatti, ha rammentato l’arcivescovo di Milano, monsignor Mario Delpini, nel corso di un convegno celebratosi a inizio febbraio sempre in Caritas, «è attraverso passi quotidiani, anche gesti minimi, piccole oasi di profezia, che può tornare in mezzo alla gente la speranza che la pace sia possibile. Non come una sorta di immaginario paese delle favole, ma come realistico sforzo di costruire pezzo per pezzo, paese per paese, regione per regione, il nostro obiettivo».
Certo, non a tutti è chiesto di dire no a un dittatore rischiando per questo la vita, come capita a Olga. Ma tutti possiamo provarci nei territori che popoliamo e nelle relazioni (parentali, sociali, economiche, professionali, educative, culturali) che viviamo ogni giorno. Cammini possibili, nella direzione di una quotidiana costruzione della pace. Gesti di fraternità, progetti di convivenza, trame di accoglienza, sforzi di riconciliazione, battaglie di giustizia, scelte di legalità: sono prassi che ognuno di noi, soggetto individuale o collettivo, può applicare al proprio quotidiano. Offrendo il proprio minimo, ma non per questo meno indispensabile contributo all’edificazione di una cultura e di un clima di pace diffusi e autentici. Senza i quali anche gli accordi internazionali, che prima o poi si scriveranno, a valle delle tremende guerre che sono tornate a rabbuiare l’orizzonte globale, sono destinati a rimanere castelli di carta, privi di fondamenta in grado di farli reggere agli urti della storia.
Luciano Gualzetti
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