Sono usciti dalla stagione pandemica marchiati da segni profondi. Anche se invisibili. Il virus ha fatto, tra le loro fila, molte meno vittime “fisiche” che tra i membri delle altre classi d’età. Ma lo sconvolgimento sociale e relazionale prodotto dal Covid ha minato, in molti casi, i loro equilibri psichici ed emotivi, già di per sé fragili ed esposti allo smarrimento.
Non vi è ricerca che non evidenzi, da qualche mese a questa parte, il dilagare tra i giovani, e soprattutto tra gli adolescenti, di molteplici forme di disagio. Sino ad arrivare a forme estreme, come l’inclinazione all’autolesionismo al suicidio. Si tratta di evidenze non confutabili, né confinabili al recinto della statistica: la fatica di vivere, e di reperire un senso alla propria ancor verde parabola esistenziale, attraversa il quotidiano di tanti ragazzi e di tanti giovani adulti, e per riflesso delle loro famiglie, delle loro comunità (civili ed ecclesiali), delle loro cerchie di conoscenti.
Anche senza giungere al vasto campionario di patologie psichiatriche che gli addetti ai lavori registrano in tumultuosa espansione, il disagio di adolescenti e giovani investe insomma molteplici ambiti di vita. L’esperienza dello studio è segnata da problemi assortiti che gonfiano i tassi di dispersione scolastica. L’accesso al mondo del lavoro risente della perdurante precarietà, che un’economia in ripresa, dopo la gelata dei lockdown, non è riuscita a correggere. E l’area delle relazioni interpersonali si cristallizza spesso in bolle di isolamento, di indifferenza, di apatia e di abulia, in cui i ragazzi vorrebbero proteggersi, e finiscono per soffocare.
Di fronte a un panorama di malesseri tanto preoccupante, il solo, pur necessario approccio terapeutico non appare però sufficiente. Le agenzie educative e le realtà sociali, a cominciare da quelle ecclesiali, hanno il dovere di scommettere non solo e non tanto sulla cura dei giovani, ma in primo luogo sul loro protagonismo. Sulle loro energie. Sulla voglia e sulla fame di futuro, che per fortuna continuano a caratterizzare la loro età.
Caritas Ambrosiana cerca di farlo in molteplici maniere. Incoraggia i doposcuola diocesani ad aprirsi alle esigenze degli “over 14”. Insieme ai consultori di matrice cattolica sostiene un programma per la continuità scolastica di ragazze giovanissime rimaste incinte. Ha aderito alla Cordata educativa che riunisce Fom e diverse altre sigle diocesane. Da quest’anno torna ad aprire all’estero i Cantieri (estivi) della solidarietà. Rilancia, in alcuni beni confiscati alle mafie situati in diocesi, i campi “Scegli da che parte stare”. Da settembre tornerà a sostenere il progetto “Vita comune per la carità”.
I percorsi di attivazione e protagonismo di adolescenti e giovani possono essere mille. Bisogna crederci. E investirci, intelligenze e risorse. Perché la “via degli ultimi”, prospettata come prioritaria da papa Francesco alle Caritas di tutta Italia in occasione del loro 50°, su cui ha riflettuto il Convegno nazionale ospitato a Milano a fine giugno, non va disgiunta dall’altro itinerario indicato dal Pontefice: la “via della creatività”. Che negli adolescenti e nei giovani ha i propri artefici e protagonisti: chi, se non loro, ha il diritto e il dovere di sognare e costruire un futuro nuovo, migliore per tutti?
Luciano Gualzetti
Leggi tutto l'inserto Farsi Prossimo sul Segno di Luglio 2022