Quaresima, povertà, cambiamento

Quaresima povertà e cambiamento editoriale don roberto

Il messaggio per la Quaresima 2014 di Papa Francesco merita questo editoriale dell’inserto Farsi Prossimo. Anzitutto perché è il suo primo messaggio legato al tempo che ci porta a Pasqua, tempo di messa a fuoco per i cristiani del “volto” del Dio raccontato da Gesù di Nazaret, tempo di cammino personale e comunitario di conversione, di ricerca dell’autenticità di noi stessi e della Chiesa, perché si mantenga viva la sua profezia in opere e parole. Ma il secondo motivo del nostro interesse risiede nel contenuto del messaggio dal titolo “Si è fatto povero per arricchirci con la sua povertà”, citazione di una espressione di san Paolo nella sua seconda lettera ai Corinti.

E allora mi piace far riecheggiare qualche snodo del messaggio a partire dalla convinzione che l’essere operatori di Caritas non può restare sulla superficie di prestazioni anche professionalmente adeguate, ma che non scendono al livello delle nostre più profonde motivazioni. L’operare in ambito caritativo deve invece provocarci ad una trasformazione non solo delle cose da fare, ma piuttosto dello stile che attraversa un po’ tutta la nostra esistenza. Lo stile che prende le mosse da quello di un Dio che “non si rivela con i mezzi della potenza e della ricchezza del mondo, ma con quelli della debolezza e della povertà”. Premessa decisiva per gente come noi, sempre tentata di pensare che l’efficacia della nostra azione di contrasto alla povertà debba basarsi anzitutto su risorse e mezzi, su finanziamenti e raccolta fondi.

Dunque continua il Papa: “Lo scopo del farsi povero di Gesù non è la povertà in se stessa, ma – dice san Paolo - «... perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà»”. Una povertà che passa attraverso il suo modo di amarci, il suo farsi prossimo a noi, il suo prendere su di sé le nostre debolezze per comunicarci la infinita misericordia di Dio. Una povertà che è anzitutto condivisione. “Dio continua a salvare gli uomini e il mondo mediante la povertà di Cristo il quale si fa povero nei Sacramenti, nella Parola e nella sua Chiesa, che è un popolo di poveri” chiamati a “guardare la miseria dei fratelli, toccarla, farcene carico”.  Una miseria che “non coincide con la povertà; la miseria è la povertà senza fiducia, senza solidarietà, senza speranza”.

Ben vengano quindi le opere che la Chiesa ha posto in essere da sempre per contrastare la miseria materiale degli uomini. Ma intuiamo che il cuore dell’azione caritativa della Chiesa sta nel promuovere la crescita di operatori capaci di condivisione profonda della miseria non solo materiale, ma anche morale e spirituale dell’uomo di sempre. E così la domanda doverosa riguarda quanto il nostro impegno di carità fattiva giunge a farci crescere nella compassione con chi sta male, una compassione che ci renda portatori anche di un messaggio di misericordia e di speranza.
Abbiamo tutti bisogno di superare una vita fatta a compartimenti stagni, non comunicanti tra di loro. Di essere bravi operatori, ma anche liberi dalla presunzione di risolvere ogni problema; capaci di “andare incontro ai bisogni e guarire le piaghe che deturpano il volto dell’umanità”, ma desiderosi di “condividere il tesoro a noi affidato, per consolare i cuori affranti e dare speranza a tanti fratelli e sorelle avvolti nel buio”.
Ma non crediamo che si tratti solo di pie esortazioni. Il Papa lo ricorda: “Quaresima è un tempo adatto per la spogliazione; e ci farà bene domandarci di quali cose possiamo privarci al fine di aiutare e arricchire altri con la nostra povertà. Non dimentichiamo che la vera povertà duole: non sarebbe valida una spogliazione senza questa dimensione penitenziale. Diffido dell’elemosina che non costa e che non duole”.

Un appello rivolto anche a chi già vive una carità fattiva ed organizzata, perché non ci capiti di sentirci esenti dalla responsabilità di rivedere il nostro modo di essere e di vivere. Perché non ci venga la tentazione di accontentarci di noi stessi o di pensare che gli appelli alla povertà e alla conversione possano riguardare solo gli “altri” e non anzitutto noi stessi.
 
Don Roberto Davanzo

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