Povertà, finanza e ... docce

In una lettera che Papa Francesco ha scritto a metà novembre al presidente australiano in vista del G20 si esprimeva la preoccupazione per tutte le forme di aggressione nei confronti dei cittadini di ogni Paese, meno evidenti, ma ugualmente reali e gravi. “Mi riferisco – affermava il Papa - specialmente agli abusi del sistema finanziario, come quelle transazioni che hanno portato alla crisi del 2008 e più in generale alla speculazione sciolta da vincoli politici o giuridici e alla mentalità che vede nella massimizzazione dei profitti il criterio finale di ogni attività economica. Una mentalità nella quale le persone sono in ultima analisi scartate non raggiungerà mai la pace e la giustizia”.
Pochi giorni dopo i giornali riportavano la notizia che sotto il colonnato del Bernini in Piazza san Pietro, accanto ai servizi igienici per i pellegrini, sarebbero state installate alcune docce, per dare la possibilità di lavarsi gratuitamente a chi non può permettersi nemmeno un po’ di acqua calda corrente.
Due informazioni di peso apparentemente diverso, ma a pensarci bene assolutamente coerenti. A dire che l’impegno a favore degli ultimi deve manifestarsi sia attraverso la risposta ai bisogni basilari delle persone come quello di dormire, mangiare, lavarsi, ... sia attraverso la riflessione rispetto ai meccanismi – invisibili e raffinati - che generano in modo spietato povertà e disuguaglianza.
Ecco il senso di uno dei tre ambiti di impegno promossi dalla Campagna di Caritas Internationalis “Una sola famiglia umana: cibo per tutti”: quello finalizzato a renderci conto che il sistema finanziario globale è uno dei meccanismi che ha maggiormente contribuito all’attuale crisi internazionale. Noi forse non ci pensiamo abbastanza, ma le attuali disparità - che generano da un lato sprechi scandalosi e dall'altro sofferenze indicibili - sono causate, anche e soprattutto, da una concezione della finanza e dei mercati liberi da qualsiasi etica che non sia quella del massimo rendimento. Ma per far questo i grandi sistemi bancari utilizzano i denari di milioni di piccoli risparmiatori per operazioni spesso immorali (come quelle legate al commercio degli armamenti) che peraltro collegano i nostri soldi e la crisi che li colpisce. Ora, di questo sappiamo e capiamo ben poco, al punto che quelle che vengono chiamate "bolle speculative" sono alimentate dai clienti – e tra questi anche ciascuno di noi - contenti di ricevere  qualche spicciolo in più sul conto in banca, senza capire che  sono proprio quei risparmi che fanno alzare il prezzo del pane, della farina, della benzina. Siamo vissuti nel dogma dell'efficienza del libero mercato deregolamentato, di cui la finanza era la punta di diamante che permetteva la migliore allocazione delle risorse e rendimenti positivi per tutti. Con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti, con una crisi dalla quale ancora stentiamo ad uscire, con una politica incapace di porre paletti adeguati e spesso preoccupata solo di salvare le banche del proprio Paese, chiamando i cittadini a tappare i buchi nei conti pubblici generati dalla finanza privata.
Le questioni sono indubbiamente complesse, ma sarebbe bello se – al di là degli slogan e delle soluzioni facili e demagogiche a problemi veri e seri gridati dall’imbonitore di turno – le nostre Caritas riuscissero a stimolare momenti di formazione sul senso dell’economia del noi e del risparmio etico. In Parrocchia potremmo impegnarci ad esempio a suggerire ai fedeli di controllare se la propria banca è coinvolta in investimenti gravemente iniqui, come traffico d'armi, progetti devastanti per l'ambiente, regimi oppressivi, paradisi fiscali ...
Una riflessione finalizzata a fare in modo che sia la politica – oggetto della partecipazione democratica – a “comandare” sull’economia e sulla finanza. E non il contrario.
Obiettivo irraggiungibile? Se così fosse, allora ci dovremmo rassegnare ad un mondo in perenne conflitto.
Ma dal momento che questa rassegnazione, almeno come cristiani, non ci è lecita, allora il dovere di formarsi, conoscere e agire mantiene tutta la sua attualità. Anche nei confronti di una finanza disumana.
 
Don Roberto Davanzo



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