
Abolire la legge Merlin?
Fatte queste premesse entriamo nel merito.
A scatenare la polemica fu l'intenzione del Consiglio della Regione Lombardia di lanciare un referendum finalizzato ad abolire quella che tutti conoscono come legge Merlin, la legge che nel 1958 aveva decretato la soppressione delle "case chiuse" e che dunque la prostituzione non poteva più essere "benedetta", autorizzata da una legge dello Stato. Quella legge stava a dire che non era sufficiente una carta bollata per rendere lecita e morale l'idea che il corpo di una donna potesse essere oggetto di compravendita. Che insomma il maschio latino potesse immaginarsi, legittimamente, con la doppia faccia dell'uomo di casa, del marito, del padre da un lato; dello sciupafemmine, del trasgressore sessuale dall'altro.
La legge Merlin in fondo cercò di combattere questa odiosa ipocrisia. Ovviamente non riuscì a debellare la prostituzione, la nuova tratta delle schiave, lo sfruttamento violento di generazioni di ragazze sempre piu straniere, sempre piu giovani. Non riuscì, così come non riesce ancora oggi, a liberare le strade delle nostre città da presenze spesso imbarazzanti e inquietanti per gli abitanti di certi quartieri. Ma almeno mandava un segnale forte e chiaro: se i circuiti criminali hanno potuto ingrassare sulla pelle delle donne, questo è avvenuto grazie ad un segmento dell'universo maschile - che attraversa ogni livello di censo e di cultura - segnato da un approccio per certi versi primitivo nei confronti del mondo femminile. Almeno costringeva questi esponenti del mondo maschile a metterci la faccia, a esporre in pubblico la loro immaturità affettiva, se non addirittura la loro smania di possesso nei confronti delle donne, a venire allo scoperto nella loro ricerca di un amore a pagamento.
Ecco perché, al di là della praticabilità giuridica di un referendum come quello proposto per abolire la legge Merlin, non possiamo non esprimere un parere negativo sulla questione, proprio per il significato che quella legge vuole portare con sé. Non possiamo accettare che la fatica a contrastare il fenomeno prostitutivo, nonché il degrado di alcuni quartieri, ci conduca a ricercare vie d'uscita che paiono scorciatoie illusorie e comunque espressione di una inaccettabile cultura dell'umano, non solo a chi è portatore della fede cristiana, ma ad ogni persona di buon senso.
Come è possibile immaginare che, per placare la comprensibile indignazione degli abitanti di determinati quartieri, si possa sdoganare l'idea che l'amore, il corpo di una donna, si possano comprare alla stregua di un qualsiasi prodotto, di un qualsiasi oggetto?
Come ci si può illudere che riaprendo le "case chiuse" la prostituzione di strada come d'incanto possa sparire?
E quand'anche si riuscisse a farla sparire, ci potremmo considerare soddisfatti del fatto che questo sfruttamento venga confinato nella clandestinità di "case chiuse", centri massaggi, appartamenti privati, stanze di hotel, ...?
Invece che gettare fumo negli occhi dei cittadini riteniamo più opportuno ed urgente potenziare l'azione di contrasto alla criminalità organizzata attraverso misure che incentivino le donne vittime di tratta a denunciare i propri sfruttatori e a tentare di rifarsi una vita.
Insieme, riteniamo più opportuno ed urgente rilanciare una forte iniziativa educativa, laica e moderna, capace di favorire il superamento di modelli di rapporto tra uomini e donne indegni di un Paese civile.
Ed è proprio di questa azione educativa che, come Caritas Ambrosiana, continueremo a farci promotori.
Don Roberto Davanzo
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