Una speciale attenzione educativa, seminario di maggio

La collaborazione tra Scuola e Doposcuola alla luce della normativa sui BES
Intervento di Alessandro Croci, pedagogista, collaboratore di Icaro
 

In classe ho una bambina che sia chiama Carlotta. Ha la disprassia. E’ una bambina con qualche problema di tiroide. Quando non comprende quel che le si chiede e non si sente seguita, scoppia in lacrime: il suo pianto attira l’attenzione di tutti e bisogna fermarsi per assisterla.
Davanti a me c’è Lorenzo, un bambino tutto muscoli e nervi. Pare che sia dislessico e discalculico, ma –siccome siamo in seconda- la diagnosi deve attendere. Secondo i primi accertamenti, vi sono anche problemi da deficit di attenzione e di iperattività, da confermare.
Lorenzo fa fatica a seguire e richiede attenzione solo per lui. Litiga spesso con altri bambini e facilmente viene alle mani …
In fondo, all’ultimo banco della prima fila, c’è Margareth, una bambina con ritardo mentale. Margareth ha un’insegnante di sostegno: Teresa.
Poi c’è Tina, che viene dall’India. E’ giunta dall’india. E’ giunta in Italia la scorsa settimana e non parla una parola della nostra lingua. E’ una bambina composta e attenta. Mi guarda con gli occhi sgranati, velati quasi da un senso di colpa per la mancata comprensione e non dubito che presto imparerà, e bene. Scrive in stampato minuscolo – come si usa nelle scuole inglesi- poiché ha frequentato la prima classe nel suo paese. E poi ci sono Carlos e Derrickson, che vengono da Capoverde.
Derrickson è estremamente e continuamente distratto, per temperamenti più che altro, e sebbene non abbia problemi a esprimersi, tuttavia resta sempre molto indietro rispetto ai suoi compagni e avrebbe necessità di essere seguito individualmente.
Carlos è un bambino robusto, pesa 63Kg. Ha subito un forte trauma due anni fa, assistendo al suicidio di un suo parente. E’ molto intelligente e non ha difficoltà a seguire, ma è soggetto a mutamenti d’umore, improvvisi, che possono determinare in lui reazioni violente. Quando ciò accade è irrefrenabile e può fare di tutto. Un mese fa, urlando come un ossesso, ha sollevato un banco e lo ha scagliato contro il muro. Abbiamo sperimentato che vi è solo un modo per farlo calmare: abbracciarlo forte e poi, sollevarlo, farlo sedere su un mobile che è a fianco alla cattedra, dopo avergli tolto le scarpe. Io ci riesco, la maestra Cinzia no, perché pesa meno di lui. E infine, ci sono altri sedici bambini, tra cui si possono individuare almeno tre gruppi di livello: il primo ben distante dall’ultimo …
 
Questa è una fotografia di una classe della scuola italiana.
Oggi parleremo, ci confronteremo sui BES, quali possibili collaborazioni tra scuole e doposcuola dando maggior importanza alla parola EDUCATIVO.  Dal 27 Dicembre 2013 il Miur ha emanato la direttiva che tutelava tutti quei soggetti con Bisogni Educativi Speciali per una scuola volta all’inclusività. Ma cosa sono i BES?
Per bisogni educativi speciali intendiamo un’area svantaggio che è molto più ampia di quella riferibile alla presenza di un deficit. Quest’area dello svantaggio scolastico, comprende problematiche diverse che possiamo individuare in tre grosse aree: disturbi evolutivi specifici, disturbi dello svantaggio socio-economico, svantaggio linguistico e culturale.
La normativa sui BES non ha introdotto un problema nuovo, bensì una nuova mappatura, con relativa sigla, che si aggiunge alle tante da cui la scuola è assediata: DSA, DDAI/ADHD, GLH, GLI, PEI, PDP, CTS, CTI ecc.. Questa nuova sigla vuole rispondere ad antiche, e giuste , esigenze di trattamento personalizzato di tutti gli alunni, che da tempo la legge prescrive e che la scuola ha difficoltà ad appagare. Ovviamente non è introducendo una nuova etichetta che si risolvono i problemi, se i mezzi per farlo rimangono gli stessi.
Quindi la direttiva ministeriale del 27 dicembre 2012 sugli alunni con BES e la relativa circolare di marzo, stimolano la scuola a fare un ulteriore passo avanti verso una maggiore INCLUSIVITA’. Si arriva a dare un diritto di personalizzazione del percorso formativo ad alunni non certificati, non diagnosticati, non patologici e questo sulla base delle valutazioni competenti e di tipo pedagogico-didattico del Consiglio di classe e non sulla base di un pezzo di carta medico. Al centro ci sta la persona. Ecco la forte caratteristica pedagogica della riforma. Una riforma che sottolinea:
  • la differente funzionalità delle persone
  • l’equità: valorizzare le differenze nel senso di considerare di “pari valore, dignità e  diritti” ogni differenza. Questo implica quindi avere uno sguardo educativo che porta a cercare e riconoscere, per poter comprendere, le differenze, e poi agire in modo efficace.
 
Personalmente credo che la legge sia un motivo in più per confrontarsi ed avviare nuove azioni concrete:
  • personalizzare percorsi formativi per alunni non patologici
  • considerare la famiglia come alleata
  • realizzare un vero lavoro di rete che non è suddivisione delle competenze, ma gestione dei casi-in difficoltà integrando le specifiche risorse.
Parlando di BES intravedo tre rischi all’orizzonte:
  • delega: la scuola potrebbe delegare il problema agli specialisti con i loro strumenti e tecniche e ai doposcuola parrochiali (laddove ce ne siano). Non riuscendo a sopportare tali difficoltà carica di responsabilità altri enti, luoghi e persone.
  • arroccamento: la scuola potrebbe rischiare di essere presuntuosa e di sapere da sola cosa fare.
  • generalizzazione: il rischio che il concetto di bisogni educativi speciali diventi una categoria generica, applicabile a tutte le situazioni di disagio e a tutte le difficoltà, oppure diventi un indicatore clinico di tipo sanitario. Sostanzialmente ci porta a dire “abbiamo tutti dei bisogni educativi speciali”?
Questi rischi portano a porci qualche domanda:
Che cosa intendiamo quando parliamo di bisogni speciali in ambito educativo, sono bisogni diversi da quelli degli altri? E quale rapporto tra questi bisogni e quelli degli altri? In che misura si rischia di etichettare tutti gli alunni che presentano delle difficoltà cognitive, socio-relazionali, comunicative? In che misura tutti gli alunni hanno bisogno di un percorso personalizzato? E ancora, in che misura la composizione multietnica e pluriculturale della popolazione scolastica attuale sta introducendo non bisogni educativi speciali ma semplicemente nuovi bisogni?
 
Il rischio, guardando e ponendoci queste domande, è quello che il concetto di BES diventi una categoria applicabile a tutte le situazioni di disagio e a tutte le difficoltà, oppure viceversa diventi restrittivo a quelle cliniche sanitarie. Oppure che non si parli dell’alunno come soggetto del proprio percorso autoformativo, cioè come attore-autore della gestione del percorso di studio. Rischiando di fermarsi solo alla definizione del problema con BES, rinunciando la parte pedagogica-educativa sovrastata dalla rassegnazione “del rimarrà sempre così”.
Invece bisognerebbe evidenziare quell’espressione famosa di don Milani “I care” ovvero mi interesso. All’interno di questo contesto co-costruttivo si potrebbe inserire la collaborazione tra l’Istituzione scuola e la parte extra-scuola (doposcuola parrocchiali) con lo scopo di avviare processi di CO-EDUCAZIONE e di CO-EVOLUZIONE dove tutti gli attori della Comunità educante apprendano gli uni dagli altri con una attenzione particolare a ri-costruire legami e non a separare …. facendo rete.
 
Alcune buone prassi:
-costruire dei protocolli di intesa tra scuola e doposcuola dove poter condividere le finalità, gli strumenti e le modalità di intervento (evitando di avere due modi differenti di lavoro con il ragazzo);
-coinvolgimento reale di tutti gli attori: famiglia, scuola, volontari e studente;
-trovare strumenti e modalità di monitoraggio;
-riconoscere i percorsi educativi speciali di ciascun ragazzo (per esempio che la scuola impari a riconoscere il percorso che viene fatto nell’extra- scuola).



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