"Non più vittime"

“Dio creò gli uomini a norma della sua immagine;
a norma dell’immagine di Dio li creò;
maschi e femmina li creò” (Genesi 1 v27)
 
E’ in questa parola del Libro della Genesi, in questo atto creativo di Dio che si inscrive la dignità di ogni persona maschio o femmina,
La dignità è spesso calpestata nel mondo, tuttavia lo è in modo particolare  per le tante donne del mondo.
In tutti i continenti e lungo tutta la storia il “genere” femminile ha sempre subito discriminazioni, abusi, violenze ed in modo diverso e maggiore da quello dei maschi, basta pensare allo stupro come ulteriore arma di guerra.
 
Nella “Lettera alle donne”  del 1995 Papa Giovanni Paolo II, riconosceva le estreme difficoltà delle donne ed il bisogno di una rinnovata e universale presa di coscienza della dignità della donna:
 
“Siamo purtroppo eredi di una storia di enormi condizionamenti che, in tutti i tempi e in ogni latitudine, hanno reso difficile il cammino della donna, misconosciuta nella sua dignità, travisata nelle sue prerogative, non di rado emarginata e persino ridotta in servitù. Ciò le ha impedito di essere fino in fondo se stessa, e ha impoverito l'intera umanità di autentiche ricchezze spirituali. […]
Sono convinto che il segreto per percorrere speditamente la strada del pieno rispetto dell'identità femminile non passi solo per la denuncia, pur necessaria, delle discriminazioni e delle ingiustizie, ma anche e soprattutto per un fattivo quanto illuminato progetto di promozione, che riguardi tutti gli ambiti della vita femminile, a partire da una rinnovata e universale presa di coscienza della dignità della donna.”
(Lettera alle donne 1995 )
E’ all’interno di questo orizzonte che si colloca l’impegno della Caritas Ambrosiana,  consapevole che il riconoscimento della dignità della donna e della dignità comune tra “maschio e femmina”, è via “molto buona” per l’intera umanità.
 
Gli interventi che la Caritas sta portando avanti”, si situano nel cercare di rimuovere ciò che stravolge il progetto di Dio e la Caritas riconosce nella violenza di genere  primariamente una violazione della dignità umana e pertanto una violazione dei diritti umani, probabilmente la violazione più diffusa nel mondo e la più tollerata a livello sociale.
Quando si parla di violenza di genere ci si riferisce a tutti quei comportamenti lesivi dell’integrità psico-fisica delle donne, delle adolescenti e delle bambine. Le forme che questa violenza assume sono molteplici: le Nazioni Unite stimano che nell’arco della vita una donna su cinque sarà vittima di stupro; una su tre sarà maltrattata, abusata o costretta a rapporti sessuali contro la propria volontà da parte di un membro della famiglia o di un conoscente; in alcune aree del mondo, inoltre, sopravvivono pratiche come le mutilazioni genitali, la selezione prenatale del feto e l’infanticidio delle bambine. Ogni anno, infine, centinaia di migliaia di donne e bambine sono trafficate e ridotte in schiavitù.
 
La violenza di genere, qualunque siano le modalità con le quali viene esercitata, ha come presupposto l’attribuzione alla donna di un ruolo subordinato rispetto all’uomo. In alcuni paesi questa sperequazione si traduce nel godimento da parte delle donne di minori diritti; altrove, pur essendo la parità sancita per legge, tradizioni e costumi di stampo patriarcale perpetuano un modello culturale che svilisce le donne e ne prescrive la sottomissione agli uomini, i quali ritengono di poter esercitare su di loro un potere arbitrario.
Il rispetto dell’identità femminile e la presa di coscienza della dignità della donna, sono le condizioni, come afferma anche Giovanni Paolo II, che permettono il superamento della violenza di genere; per quanto la denuncia della violenza e l’adozione di leggi per il suo contrasto rappresentino un punto di partenza imprescindibile, un effettivo cambiamento nei rapporti tra uomo e donna è possibile solo attraverso un processo di messa in discussione dei meccanismi di prevaricazione. E’ un percorso lungo che interroga, sollecita e coinvolge sia le donne che gli uomini.
Le donne spesso tollerano la violenza di cui sono fatte oggetto perché mai messa in discussione all’interno della comunità di cui fanno parte. Molte forme di violenza si trasmettono attraverso usi e consuetudini che fanno riferimento ai concetti di “onorabilità e virtù” delle quali ci si aspetta che le donne siano portatrici; è il caso delle mutilazioni genitali, dei matrimoni precoci imposti alle adolescenti, del controllo ossessivo che viene esercitato dal padre prima e dal marito poi, limitando fortemente la libertà e l’autodeterminazione delle donne. Opporsi a queste pratiche comporta, in molte situazioni e in vari Paesi, sanzioni molto pesanti che possono anche arrivare alla morte.
Anche la violenza domestica viene spesso considerata un aspetto “normale” delle relazioni tra i generi. In molti paesi le donne pensano che sia giustificata nel caso in cui mettano in atto comportamenti “sconvenienti”, come uscire di casa senza informare il marito o parlare con altri uomini; in alcuni casi anche piccole mancanze, come servire in ritardo i pasti, sono considerate motivi validi per essere picchiate.
Quella domestica è una forma di violenza nei confronti delle donne che ancora molto presente nei paesi occidentali; la consapevolezza che non possa mai essere tollerata è una conquista relativamente recente e molte donne ancora resistono all’idea che possa essere motivo sufficiente per chiedere la separazione dal partner. La violenza domestica, inoltre, assume molteplici forme: se quella fisica è evidente e accertabile, la violenza psicologica (altrettanto grave in termini di danni e conseguenze) non sempre viene pienamente riconosciuta come una modalità disfunzionale di interazione all’interno della coppia.
Questi esempi invitano a riflettere sulla complessità dell’intervento di contrasto alla violenza e sui tempi che occorrono perché possa realizzarsi un effettivo cambiamento; accanto a leggi di tutela é necessario che ciascuno percepisca l’aberrazione insita in questi comportamenti e si faccia promotore di modalità costruttive e rispettose di interazione tra i generi. Per questo motivo gli interventi di contrasto alla violenza sulle donne sono efficaci solo se coinvolgono attivamente anche gli uomini, e non solo in veste di perpetratori della violenza.
I sistemi patriarcali infatti, oltre a mortificare le donne, costituiscono spesso un ingranaggio che intrappola anche gli uomini. In particolare l’aspettativa di un comportamento “virile” da parte loro li sollecita al ricorso alla forza come strumento di risoluzione dei conflitti e all’adozione di condotte che li confermino nella propria identità maschile, così come viene espressa dalla società della quale fanno parte. In alcuni contesti culturali questo significa per gli uomini, dover rinunciare alle manifestazioni di affetto, a un ruolo attivo nell’educazione e nella vita dei figli, all’interazione paritaria con il prossimo; in breve significa dover rinunciare alla propria umanità.
Le ingiustizie che affliggono le donne comportano quindi uno svantaggio per tutti. Papa Giovanni Paolo II affermava che aver impedito alla donna di essere fino in fondo se stessa ha impoverito l'intera umanità di autentiche ricchezze spirituali. Ma non solo. Molte esperienze dimostrano che la crescita economica e sociale di un paese avviene quando le donne possono accedere all’educazione e a un lavoro retribuito, perché più inclini rispetto agli uomini a utilizzare le risorse di cui dispongono per incrementare il benessere dei figli e della famiglia, moltiplicando così la spinta allo sviluppo.
Contrastare attivamente la violenza e la discriminazione non si traduce solo nel riconoscere alle donne la piena libertà di autodeterminarsi, di rifiutare pratiche degradanti e di denunciare la violenza; consiste anche nell’impegno per l’affermazione dell’equità di genere come valore che rappresenta un vantaggio – spirituale e materiale - per tutta l’umanità.
 
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