
Dal maltrattamento si può uscire: la storia di Maria
Alla nascita di Matteo, avvenuta dopo circa un anno dal matrimonio, la situazione si era ulteriormente aggravata. Anche Matteo era diventato il pretesto di liti che finivano sempre con calci e pugni. Maria racconta che una sera lei stava dando da mangiare a Matteo seduto sul seggiolone, mentre il marito pretendeva che lei interrompesse l’accudimento del figlio per andare in cucina a prendergli il sale. Maria non era stata pronta come lui avrebbe voluto e ciò l’aveva fatto reagire con violenza, buttandole anche addosso i piatti che erano sul tavolo. Dopo quella crisi lui si era chiuso in camera, costringendola a dormire sul divano. L’indomani mattina, prima di uscire per andare al lavoro, Luigi aveva salutato Maria come se nulla fosse accaduto. Maria dal canto suo, non sapendo più come comportarsi per il timore di attivare la sua violenza, si adeguava a ogni suo comportamento.
Nel corso degli anni questi episodi di violenza erano diventati sempre più frequenti e Maria si era sentita sempre più in trappola. Ormai era soggiogata dal marito, anche dal punto di vista psicologico. Lui le centellinava i soldi per la spesa per poi darle la responsabilità di non saper amministrare. Maria non poteva contare sull’aiuto di nessuno, anche perché la sua famiglia era lontana e lei non aveva voluto coinvolgerli. Nel corso degli anni, quando Matteo era cresciuto e non richiedeva più l’assidua presenza della mamma, Luigi “aveva permesso” a Maria di andare a lavorare, proibendole però di avere dei rapporti extra lavoro anche semplicemente con le colleghe e appropriandosi dei suoi soldi.
Nonostante il modello negativo del padre, Matteo era cresciuto abbastanza bene, grazie all’affetto e alla capacità genitoriale della mamma, ed era diventato per Maria la motivazione ad andare avanti. È stato proprio il figlio, una volta adulto, a incoraggiare la mamma a chiedere aiuto.
Già nel primo colloquio al Se.D (Servizio Disagio Donne della Caritas Ambrosiana) Maria aveva scoperto “il mondo” costituito dalla rete di servizi che avrebbero potuto accompagnarla nel suo percorso di uscita dalla violenza. Maria aveva accettato volentieri l’ingresso in comunità dove, nella fase iniziale, aveva trovato protezione, ma anche l’incoraggiamento a tirar fuori le proprie risorse, di cui lei stessa non era più consapevole a causa delle continue denigrazioni del marito. Parallelamente alla denuncia e all’avvio dell’iter legale conclusasi con una separazione giudiziale molto faticosa, Maria si era impegnata per mettere le basi per la sua autonomia. Aveva frequentato un corso di formazione professionale che l’aveva messa nella condizione di trovare un lavoro.
Il suo percorso è durato più di un anno e mezzo, ma oggi Maria ha raggiunto l'autonomia e ha ricostruito un rapporto positivo con il figlio.
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