La crisi economica ha colpito duramente anche la Lombardia, ma non ha fiaccato la generosità dei lombardi né la creatività delle Caritas. Questo è quanto emerge dal volume “Crisi economica e Caritas Lombarde: progetti, storie e interventi” che è stato presentato giovedì 16 ottobre, alle ore 11.30, nella sala conferenze della Curia arcivescovile, in piazza Fontana 2, a Milano.
Sei anni di crisi economica hanno allungato la fila di chi chiede aiuto ai centri di ascolto Caritas nelle parrocchie. Tuttavia la capacità di reazione non si è fatta attendere. Solo i fondi diocesani nati per aiutare le famiglie che hanno perso il lavoro in questi anni hanno raccolto dal 2009 - quando sono stati istituiti, sul modello di quello milanese, voluto dall’allora arcivescovo, il cardinale Dionigi Tettamanzi – al 2013, la cifra di oltre 30 milioni di euro (31.150.573 euro) grazie alle donazioni per lo più di fedeli e cittadini. A ben vedere è stata, nei fatti, una ridistribuzione di risorse, su base volontaria, che ha trasferito ricchezza dalle famiglie che non sono state toccate dalla crisi a quelle che ne sono state vittima, per finanziare progetti di aiuto. «Ma analizzare solo la “quantità” è cosa che lascia il tempo che trova, visto che ormai le richieste e i numeri di chi ha bisogno sono sempre crescenti», osserva don Francesco Gipponi, delegato regionale per l’Osservatorio delle Povertà e delle Risorse delle Caritas.
La crisi ha richiesto, infatti, alle Caritas Lombarde in prima linea di compiere anche uno scatto di fantasia. Nel volume “Crisi economica e Caritas Lombarde: progetti, storie e interventi”, si raccolgono proprio le buone prassi sperimentate nei vari territori.
Agli interventi di tipo assistenziale (prestiti “una tantum” a fondo perduto per il pagamento delle utenze e dei buoni alimentari), sono stati affiancati interventi per l’inserimento lavorativo, sostegni al reddito familiare attraverso microcrediti, aiuti specifici (ad esempio il sostegno economico per le spese scolastiche), incentivi all’auto-mutuo aiuto. Fondi privati sono stati integrati con quelli pubblici erogati dagli enti locali. Nuove collaborazioni sono nate tra cooperative sociali, associazioni, gruppi parrocchiali.
Anche una risorsa preziosa come il volontariato non è venuta meno. Sono anzi aumentate le persone che si sono rese disponibili a lavorare nei centri di ascolto, consentendo alle Caritas diocesane della Lombarda di ampliare e rendere più capillare la propria rete di aiuto, aprendo “sportelli” in parrocchie dove prima non c’erano.
«Le attività così diversificate ci dicono anche la grande diversità dei territori e dei bisogni che vi sono presenti. A sostenere il lavoro delle Caritas ci sono state soprattutto le donazioni delle Parrocchie, la decima dello stipendio (anche di tanti sacerdoti), alcune fondazioni bancarie, un parte dell’8Xmille. Ma le risorse messe in campo non sono state solo economiche ma costituite da reti di volontari, associazioni, parrocchie a comporre un tessuto sociale che trasforma l’aiuto in aiuto includente prima che economico», osserva don Francesco Gipponi, delegato regionale per l’Osservatorio delle Risorse e delle Povertà
«Mentre la crisi, al pari di un fiume troppo gonfio d’acqua ha esondato, erodendo e disgregando il terreno su cui si è riversata, i progetti di Caritas hanno cercato di ricomporre e rinsaldare, chiamando le comunità locali a riconoscersi come tali e dunque ad assumere su di sé il compito del prendersi cura dei propri membri – sottolinea Egidio Riva, ricercatore del Dipartimento di Sociologia dell’Università Cattolica di Milano -. In buona parte dei progetti, le amministrazioni locali compaiono prevalentemente in qualità di ente finanziatore, perché hanno costituito e stanziato fondi ad hoc, hanno messo a disposizione a titolo gratuito spazi e ambienti, hanno contribuito ad alimentare, in altre forme, le dotazioni necessarie per implementare i percorsi di inclusione sociale. Ma la crisi, se davvero intesa come occasione di ripensamento di un modello che ha mostrato con drammaticità tutti i suoi limiti, richiede altro. Richiede che – proprio perché bisogni sociali crescenti si scontrano con risorse economiche sempre più esigue, in ragione dell’austerità, e con modelli di politica sociale inadeguati – l’attore pubblico eserciti e sia anzi chiamato a esercitare la funzione di catalizzatore: di risorse economiche, ma soprattutto di idee e competenze»