
Gualzetti: «Riaprire il CIE di via Corelli sarebbe ripetere un errore»
Secondo Gualzetti i Centri di identificazione ed espulsione (Cie) «non sono lo strumento adeguato, perché i numeri delle persone che dovrebbero contenere (dei soli diniegati si stimano 70mila su tutto il territorio nazionale) sono tali che mettere in campo una misura del genere, non è credibile e avrebbe un costo esorbitante». «Inoltre – argomenta il direttore di Caritas Ambrosiana – anche nel caso si riuscisse a predisporli, difficilmente sarebbero efficaci, senza un piano di rimpatri che, date le proporzioni del fenomeno, è al momento molto difficile da realizzare».
«Meglio sarebbe a questo punto dividere il problema – ragiona Gualzetti -: accanto agli sforzi per accrescere il numero di accordi bilaterali con i paesi di provenienza dei migranti senza il cui consenso non è possibile procedere ai rimpatri, come dimostra proprio il caso di Anis Amri (il 24enne tunisino autore dell'attentato a Berlino rimasto ucciso prima di Natale in uno scontro a fuoco con la polizia a Sesto San Giovanni), prevedere un permesso di soggiorno umanitario per coloro che si trovano già nelle strutture di accoglienza per richiedenti asilo al fine di evitare che i diniegati finiscano nel cono d’ombra della clandestinità, con la conseguenza di vanificare gli sforzi fatti sin ad ora per la loro integrazione e quindi il rischio di esporli al rischio di radicalizzazione».
«L’esperienza dimostra come le scelte pur legittime a favore della sicurezza devono essere accompagnate da rigorosi programmi di integrazione, i soli che possono dare garanzie di coesione e pacifica convivenza nei tempi lunghi e neutralizzare i semi di rancore e violenza che in questo periodo ci stanno attraversando».
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Luciano Gualzetti
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