Sono sempre molti e ricchissimi i temi che animano il mese di gennaio (la giornata mondiale di preghiera per la pace, quella dedicata ai migranti, la settimana di preghiera per l'unità dei cristiani, ...). Lasciatemi allora dedicare questo editoriale ad una riflessione che mi è stata sollecitata da una recente missione che ho vissuto in Congo per verificare i progetti che da anni sviluppiamo nella remota diocesi di Kindu, centro-est del paese, unitamente a quanto il mistero del Natale ci ha ancora una volta riproposto.
Al di là della cronaca del viaggio, voglio condividere con i lettori il disagio provato a partire dalla constatazione che, malgrado in certi paesi le grandi organizzazioni non governative abbiano speso e continuino a spendere ingenti somme di denaro, non si assiste ancora ad una minima capacità di autonomia da parte di queste popolazioni. Si pensi che in Congo è presente la missione ONU più numerosa e costosa di tutto il pianeta: nei pochi giorni della missione abbiamo incontrato soldati egiziani e francesi, bengalesi e belgi, uruguagi e romeni. Addirittura si ha la sensazione che tutto questo profluvio di risorse finisca per alimentare una specie di economia parallela, un giro di azioni certamente benefiche, ma che di fatto non coinvolgono la popolazione locale e non scatenano la voglia di rimboccarsi le maniche. Azioni che non sono viste come un pungolo, una provocazione, finendo per generare un sempre maggiore immobilismo e sempre nuove aspettative. È chiaro che un po' sto esagerando, ma lo faccio per far capire come lo stesso slogan "aiutiamoli a casa loro" che di tanto in tanto torna di moda con una prosopopea ammantata di buoni sentimenti, non sia da proclamare con troppa ingenuità.
È a questo punto che ci viene in aiuto il mistero stesso dell'Incarnazione che dice molto più che una bella favola per bambini. Il fatto che i cristiani ogni anno possano celebrare il Natale significa che hanno l’opportunità di confrontarsi con lo stile di un Dio che offre i criteri per costruire relazioni autentiche degli uomini tra di loro, specie quando possono essere definite come relazioni di aiuto. Provo a formularli in modo estremamente sintetico ed evocativo.
Il primo criterio: non pensiamoci solo dei salvatori, ma ricerchiamo una qualche reciprocità. Il Dio dei cristiani non si è accontentato di creare l'uomo e di farsi uomo. Uomo è rimasto anche dopo la sua Pasqua, ha portato questa umanità alla destra del Padre dopo l'Ascensione al cielo di Gesù. Non gli bastava essere Dio, non si poteva considerare autosufficiente: voleva l'uomo come suo commensale, come membro della sua famiglia.
Il secondo criterio: non imponiamo alcuna salvezza, ma preoccupiamoci di scatenare libertà. La salvezza che Dio ha portato all'umanità non è stata un colpo di bacchetta magica, non è stata imposta. Tutta la storia della salvezza ha avuto come scopo quello di far venire la voglia all'uomo di dire di sì a Dio, di fidarsi di lui, di aderire al suo progetto di bene per il mondo.
Il terzo criterio: la salvezza che possiamo offrire si compie nel momento in cui il salvatore fa un passo indietro. Dopo la sua Pasqua Gesù non è rimasto con gli uomini, ma per certi versi li ha lasciati soli - con il dono del suo Spirito che li avrebbe aiutati a fare memoria di quanto il Signore ha fatto e detto - a dimostrazione di quanto ci tratta da adulti e da responsabili, anche a costo di rischiare la nostra lentezza e pochezza nel camminare sui suoi passi.
Ovvio, sono delle suggestioni tutte da sviluppare. Ma se solo riuscissimo a farle diventare metodo rispetto alle tante iniziative di cooperazione internazionale, i destinatari del nostro aiuto ne trarrebbero beneficio ed anche noi ne usciremmo più arricchiti. Se solo tenessimo presenti questi criteri nel valutare i tanti interventi a favore delle popolazioni colpite da calamità naturali o semplicemente segnate da miseria e sottosviluppo. Se nel donare fondi per interventi e progetti di solidarietà domandassimo ai destinatari della nostra fiducia di seguire questo metodo che l'Incarnazione ci insegna, certamente assisteremmo ad un diverso modo di costruire relazioni e le risorse che la nostra gente continua a mettere a disposizione con rinnovata generosità porterebbero a risultati meno frustranti di quanto oggi ci tocca fare esperienza.