
Emergenza coronavirus. Aumentano i fragili
La pandemia da Covid 19 ha imposto delle trasformazioni negli stili di vita delle persone e nell’economia che hanno amplificato e moltiplicato le povertà, creando tutte le condizioni favorevoli per la diffusione dell’usura da criminalità comune e organizzata. Sono cambiati i bisogni, le fragilità e le richieste intercettate, a cui dovranno per forza seguire dei mutamenti negli interventi e nelle prassi operative di chi opera per contrastare questo fenomeno.
Non è ancora chiaro quando questa emergenza, che non è solo sanitaria ma anche economica e sociale, terminerà, né come sarà il futuro che ci aspetta. Sono in aumento le difficoltà finanziarie legate alla perdita del lavoro e delle fonti di reddito, al pagamento di affitto o mutuo, a cui si aggiungono quelle delle persone con impiego irregolare fermo a causa della pandemia, dei lavoratori dipendenti in attesa della cassa integrazione, dei lavoratori autonomi/stagionali in attesa del bonus 600/800 euro, dei pensionati. In questi mesi molto è stato fatto, ma c’è bisogno di rispondere in modo più forte alle necessità delle persone sovrindebitate o a rischio di usura.
Per fare ciò c’è bisogno di un maggiore coinvolgimento e sostegno delle 32 Fondazioni Antiusura territoriali. È importante inoltre proseguire il processo di integrazione con le Caritas diocesane, per essere più incisivi sui territori e per non lasciare spazi non presidiati a chi del prestito a usura ne fa una ragione di profitto illecito sulla pelle delle persone più fragili e indifese.
Prima della pandemia, la Consulta Antiusura, aveva “contato” circa 2 milioni di famiglie in sovraindebitamento (cioè debiti non rifondibili a condizioni ordinarie) e altre 5 milioni appena “soprasoglia”, cioè in equilibrio precario tra reddito disponibile e debiti “ordinari”. È evidente che queste quantità di riferimento (almeno 6 milioni di famiglie pressate dall’insolvenza, oggi) vanno considerate con realismo per misure illuminate: procedure effettive e giuste di esdebitamento; nuove chance da offrire per ottenere reddito familiare; iniziative di comunità per rilanciare le produzioni e il lavoro nei territori.
In breve, sono i concetti chiave del New Deal: la crisi è sofferenza delle persone e, dunque, trattare la sofferenza delle persone è il criterio ordinatore delle scelte. Una politica economica collegata con una politica sociale: come seppero realizzare le classi dirigenti della Ricostruzione postbellica. Ma accanto a chi è schiacciato dalle mancanze (e spesso non ha chance di denunciarle in pubblico) vi è però anche chi ha trovato nuove opportunità per accrescere ricchezza a potere. Le crisi infatti mandano in miseria strati della popolazione e, per contro, generano concentrazione di patrimoni: per espropriazione di chi è bersagliato dai rigori del mutamento improvviso, in peggio, dell’economia, del lavoro, della finanza pubblica.
L’usura e la speculazione delinquenziale sono incentivate dalla tragedia interna e internazionale. Per questo occorre far tesoro della esperienza passata di fronteggiamento, anche con successo. In 25 anni d’impegno, le Fondazioni antiusura hanno dispiegato una dottrina, cioè un apostolato di grande competenza e efficacia, per contrastare la morsa dei debiti sulle persone e per restituire alle famiglie la sovranità sull’esistenza, per l’appunto minacciata dal credito aggressivo e usurario.
Tale esempio, pur limitato ogni anno a ottomila famiglie va fatto proprio dallo Stato, poiché le Fondazioni antiusura hanno creato un valore pubblico e, come tale, i decisori, se intendono davvero promuovere la rinascenza dopo la pandemia, possono farlo proprio e porlo nell’agire programmato delle amministrazioni e dei servizi.
Luciano Gualzetti
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