Avevamo chiesto di non approvarlo. Avevamo avanzato 13 proposte di modifica. Invece lo Schema di decreto (approvato prima di Natale) è diventato Decreto legislativo a pieno titolo (approvato l’11 marzo) senza che di quelle istanze si tenesse conto. Il governo, dichiarando di voler procedere al “Riordino del settore dei giochi, a partire da quelli a distanza”, ha ignorato l’appello lanciato, anche di fronte alla Commissione Finanze della Camera, dalla Consulta nazionale “Giovanni Paolo II” e dalle 35 Fondazioni antiusura di ispirazione cattolica operanti in tutta Italia. E così la nuova norma, ispirata da un’apprezzabile volontà di sistemazione della materia, rischia di spalancare nuove praterie a un fenomeno, l’azzardo online, che negli ultimi anni ha già cavalcato dissennatamente, in un Paese che non avrebbe certo bisogno di incentivi allo sfilacciamento delle relazioni famigliari e sociali, al sovraindebitamento finanziario (dunque al ricorso all’usura), al dilagare delle dipendenze.
Si calcola che in Italia la “raccolta” dell’azzardo (ovvero il volume complessivo di quanto speso in giochi dai cittadini) sia passato dai 25,6 miliardi di euro del 2004 ai 149 miliardi del 2023, anche grazie all’introduzione di ben 47 nuove tipologie di gioco. All’interno di questo enorme e sempre più vorace cratere finanziario e sociale, l’accelerazione digitale è stata evidentissima nell’ultimo lustro: la raccolta di quello che pudicamente il decreto definisce “gioco a distanza” (in realtà, a voler essere corretti ed espliciti, “gioco d’azzardo digitale con piattaforma online”) è esplosa, complice anche il Covid, dai 38 miliardi del 2019 ai circa 85 miliardi del 2023, alimentati da circa 17 milioni di “conti di gioco” attivi.
Ora il decreto promette di allargare e approfondire il baratro. Tra le disposizioni meritorie, aumenta notevolmente i canoni a carico delle società concessionarie e pone limiti (non più di 100 euro) all’uso di contante per i giochi online, al fine di aumentare il ricorso a pagamenti tracciabili e sicuri. Ma per il resto, non interviene sulla frequenza e la continuità delle giocate (vettori di compulsività e dipendenza), non sopprime e nemmeno regola le scommesse tra privati e quelle su singole “scomposizioni” di eventi sportivi (che, praticabili da telefonino, stanno facendo dilagare l’azzardo tra i minori), non dispone il ritorno al divieto assoluto di pubblicità e nemmeno prova a limitare la mareggiata di messaggi pubblicitari che sommerge da tempo soprattutto lo sport, istituisce una “Consulta nazionale dei giochi pubblici” nella quale avranno diritto di parola anche gli operatori commerciali e che soprattutto sottrare potere di controllo sugli effetti sociali e clinici dell’azzardo al ministero della Salute, infine consente di distribuire i proventi del settore anche a enti locali e organismi non profit, potenzialmente minando l’opera di controllo e limitazione che molti di essi, nell’ultimo decennio, hanno esercitato.
Insomma, più che un riordino, assomiglia tanto alla benedizione di un’epidemia. Silenziosa, ma non meno letale. Per l’equilibrio psichico e relazionale di tanti ragazzi, la tenuta di tante famiglie, la salute dell’economia nel suo complesso, l’immunità del sistema-paese rispetto alle infiltrazioni di capitali illegali e di pratiche criminose. La marea montante degli interessi intorno all’azzardo sembra schiacciare ogni tentativo di resistenza. Anche sul fronte educativo e culturale. Ma noi continueremo a dire che non si deve parlare di ludopatia ma di gioco d’azzardo patologico, e che promuovere il cosiddetto “gioco responsabile” è un favore alla diffusione dell’azzardo. Ma soprattutto, che l’azzardo non un gioco!
Luciano Gualzetti
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