
Pregare Dio per i vivi e per i morti
Allora, il senso bello di questa ultima opera è quello di avvolgere i tanti gesti di misericordia in una relazione stabile con quel Dio che si presenta fin dall’AT come “clemente e misericordioso”, capace di “ascoltare il grido dei poveri” al quale consegnare il poco che riusciamo a metter in gioco affinché sia lui a moltiplicarlo come già fece suo Figlio Gesù sulle sponde del lago di Tiberiade con i cinque pani e i due pesci che furono sufficienti a sfamare una folla innumerevole.
Pregare Dio per i vivi e per i morti diventa un’opera di misericordia per noi, bisognosi di essere salvati dal duplice rischio di una superbia narcisistica che ci fa ritenere i salvatori del mondo, e da quello di una depressione rinunciataria che si affaccia non appena il nostro egoismo e comunque i nostri limiti ci espongono alla bruciante constatazione della nostra inadeguatezza. È importante sapere che non siamo soli nell’esercizio della misericordia e che in Dio abbiamo un alleato formidabile.
Ma ad alcune condizioni. E la prima è che questa che innalziamo al cielo possa definirsi una preghiera di intercessione, una preghiera nella quale non mi distacco con presunzione farisaica dalle miserie di coloro a favore dei quali mi rivolgo al Signore. La preghiera di intercessione “funziona” solo se riesce ad esprimere una reale com-passione nel cuore, nella carne, nei sensi. Intercessione deriva da intercedere che potremmo tradurre con un camminare in mezzo, tenendo idealmente una mano sulla spalla di coloro per cui voglio pregare. Non dall’alto della mia bravura, ma dentro una storia di condivisione e solidarietà. Una preghiera che non sarà mai una de-responsabilizzazione: pensate a quante volte nelle preghiere di benedizione della mensa ci esprimiamo più o meno così: “benedici Signore il cibo che stiamo per prendere e danne a chi non ne ha”. Capite? Se la gente muore di fame, la colpa è di Dio che non ne dà a sufficienza. Noi non facciamo nulla, ma con la preghiera ricordiamo a Dio che faccia il suo mestiere e così ci laviamo la coscienza ...
“Per i vivi e per i morti” dice la nostra opera. Un binomio che sta ad indicare totalità, che la misericordia se è vera non tollera esclusioni. La misericordia è “l’incendio del cuore per ogni creatura, uomini e uccelli e animali e per i demoni e tutto quel che è ...” scriveva un antico Padre d’oriente, Isacco di Ninive. Una prospettiva che mette in luce la meschinità di quanti – pur dichiarandosi orgogliosamente cristiani – hanno introdotto in questi anni la logica del “prima i nostri”. “Vivi e morti” dice la nostra opera, senza graduatorie che non siano dettate dall’urgenza del bisogno. Ma la cosa affascinante è che - per chi ha il dono inestimabile della fede - la misericordia va esercitata anche a favore di quanti, vissuto il grande passaggio della morte, in qualche modo “attendono” il pieno compimento della loro Pasqua e l’accesso definitivo all’incontro con Dio. Anche di loro noi possiamo occuparci e del loro cammino di purificazione dobbiamo farci carico. La relazione con i “morti” non viene interrotta e possiamo continuare a volerci bene, nella memoria e nella preghiera.
Roberto Davanzo
Inoltre, per approfondire l'argomento, presso l'Ufficio Documentazione sono a disposizione una serie di pubblicazioni sulle Opere di Misericordia, clicca qui per vedere.
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