
Non so se possiamo parlare dell’opera più “difficile”, ma certamente
consigliare i dubbiosi si pone come un’opera di misericordia spirituale per nulla scontata, tanto preziosa quanto coinvolgente per colui che è chiamato ad offrire
consiglio. Da leggersi assieme a quelle che prevedono di
ammonire i peccatori e
insegnare agli ignoranti.
Possiamo pensarla come un’opera che domanda una carità che si esercita nel servizio della verità, nel sostenere la difficoltà di colui che è incerto rispetto alle scelte da fare, ai passi da compiere.
Ma una parola va detta a proposito del
dubbio e degli equivoci che questo termine può portare con sé. Il modo corretto di pensarlo riguarda il fatto che la condizione dell’uomo è intermedia, né di sola luce, né di totale oscurità. In bilico tra il rischio di un
dubbio radicale che alla fine ti impedisce di vivere (che ne sappiamo che gli edifici in cui viviamo siano ben costruiti o che l’aereo sul quale voliamo sia pilotato da una persona competente e sana di mente?) e la
sicumera arrogante di chi non si mette mai in discussione, di chi non sa dove stia di casa l’umiltà, di chi giudica il mondo e gli altri con dogmatismi che sfociano facilmente nell’intolleranza e nella violenza.
Qui noi parliamo di quel dubbio benefico che ti fa sentire sempre in cammino, mai appagato, sempre prudente, consapevole della complessità e per questo capace di apprezzare il contributo altrui. Nella fede come nella vita.
È a questo punto che possiamo parlare di
consiglio e dunque dell’arte di
consigliare. Chi pretende certezze assolute non chiederà mai consiglio. Solo chi parte da una fiducia originaria in qualcosa riconosciuto come fondamento sentirà il bisogno di ulteriori valutazioni e decisioni che possono essere offerte solo da una persona altra da sé.
Persona che non si improvvisa capace di consiglio, dal momento che come minimo dovrà riscuotere fiducia dalla persona nell’incertezza e dunque dovrà sapersi mostrare umile e consapevole rispetto alle proprie aree critiche su cui sentirsi bisognosi di soccorso. Guai al consigliere che dovesse presumere troppo di sé, guai al consigliere che non dovesse conoscere il dubbio, guai al consigliere che dovesse ritenersi migliore degli altri. Non si è buoni consiglieri senza coltivare virtù come la purezza di cuore, la trasparenza e la docilità, la misericordia e la prudenza. Senza sapere rispettare la responsabilità del dubbioso che, lui solo, dovrà trovare la risposta al suo quesito, alla sua incertezza.
Ecco dunque che possiamo meglio entrare nel senso di questa opera di misericordia che si giustifica ancora di più nell’attuale società complessa e senza apparenti punti di riferimento. Una società nella quale il dubbio svolge un ruolo positivo in quanto aiuta a fare chiarezza, mettendo in discussione presupposti, modi di pensare, abitudini date per scontate. Senza scordare che l’atto del consigliare non sarà mai una specie di
oracolo costringente, non toglierà mai spazio alla libertà di colui che è nel dubbio e che dunque potrà anche rifiutare il responso, il suggerimento, il consiglio. Così si esprimeva il Card. Martini: “Il dono del consiglio ci consente di vivere pacificamente questa situazione conflittuale e ambigua, di viverla senza angosce ... Il dono del consiglio non consiste in una luce chiarissima ... Esso ci viene in aiuto quando la situazione è incerta per permetterci di andare avanti con fiducia, scegliendo ragionevolmente – dopo aver pregato, pensato, riflettuto, essersi consigliati – la via che sembra al momento migliore, pronti a correggerla”.
Dunque un’opera di misericordia che non si esaurisce nel dialogo col dubbioso, ma che ha bisogno del tempo successivo, della verifica nella vita concreta della possibile bontà del suggerimento offerto. Un tempo successivo in cui il dubbioso è chiamato ad esercitare una qualche determinazione con continuità e perseveranza. L’indeciso e il titubante, trovandosi sempre inquieti, restano destabilizzati, incapaci di portare a termine la buona impresa.
Senza temere la complessità, ma accettando la sfida che rende la vita bella, degna di essere vissuta, e che consente – al contrario della generazione che resta a guardare, rimproverata da Gesù – di esercitare nella maniera migliore le proprie capacità.
Roberto Davanzo
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